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CLUB ANDARE IN GIRO

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" Il Simbolismo in Italia" Padova, Palazzo Zabarella

Pubblicato da oleg su 30 Dicembre 2011, 08:13am

Tags: #Exhibitions and Events

http://www.italica.rai.it/immagini/arte/simbolismo_italia/previati_sogno.jpgNel 1891, quando Gaetano Previati presentò alla prima Triennale di Brera la sua "Maternità" riuscì a conquistare l’amarissimo traguardo della disapprovazione universale. Dipinta  con la tecnica divisionista l’immagine rarefatta di una madre che stringeva teneramente il proprio bambino, circondata da una schiera di angeli in preghiera, somigliava a un "ricamo in lana svanito nei colori" attraverso il quale il maestro ferrarese intendeva rappresentare l’idea della maternità come principio animatore dell’esistenza umana in tutta la sua parabola e dell’universo. In una lettera al fratello, Previati spiegava di aver voluto "rendere nella figura principale del quadro tutta l’intensità dell’amore materno spogliato dalle cianfruscole che hanno servito per mille dipinti", ma per i nostalgici del verismo "scapigliato" a tinte forti, l’opera fu un’autentica provocazione. E plateali furono le proteste inscenate dalla critica tradizionalista e dai benpensanti dinanzi quella confusa figura onirica, immersa in un indefinibile grigio-azzurro diviso in filamenti sottili come i tentacoli di una medusa. A quella memorabile esposizione era stato invitato anche Giovanni Segantini che sorprendentemente vi partecipò con un’opera dedicata allo stesso tema: "Le due madri". Per rappresentare la maternità il maestro di Arco aveva dipinto l’interno di una stalla rischiarato dalla luce soffusa di una lampada che illuminava una giovane mamma con in braccio un neonato e una mucca accanto al suo vitello. Realizzato nella tecnica divisionista usata da Previati, ma in toni più sommessi, il dipinto di Segantini restava comunque nel solco di un realismo riconoscibile che gli ottenne ampi consensi. Con queste due grandi tele e con la memorabile esposizione milanese che le ospitava, esordiva nell’arte italiana il nuovo immaginario simbolista nato a Parigi qualche anno prima. A marcare la differenza tra la nuova pittura italiana e la corrispondente esperienza francese era l’uso della tecnica divisionista che con il pointillisme d’oltralpe condivideva l’obbedienza alle leggi dell’ottica ma le declinava con una libertà sconosciuta ai francesi. La radicale novità della pittura italiana si manifestava anche sul piano dei contenuti. I francesi, pur avendo dato i natali al movimento simbolista (nel 1886 il poeta Jean Moréas ne pubblicava il manifesto su "Le Figaro"), si muovevano nel solco dell’impressionismo, continuando a dipingere paesaggi e vedute naturalisti. I pittori italiani invece sposarono subito la nuova corrente di pensiero che reagiva allo scientismo positivista del secondo Ottocento, rifugiandosi nella dimensione del sogno, dell’emozione e dell’intuizione dove si celavano gli aspetti più profondi dell’esistenza. "L’arte - sosteneva in quegli anni un arbitro del gusto come D’Annunzio - deve farsi interprete dei sogni che nascono nella profondità della malinconia moderna, i pensieri indefiniti, i desideri senza limiti, le ansie senza causa, le disperazioni inconsolabili, tutti i turbamenti più oscuri e angosciosi". La missione degli artisti diventava allora quella di svelare i pensieri segreti, le meravigliose ambiguità, le zone misteriose e inesplorate che la realtà visibile nasconde, con quadri dominati dall’allusione e dal simbolo e popolati da immagini cariche di suggestioni fantastiche e tensioni emozionali.
Il Simbolismo fu una stagione breve dell’arte italiana, a cavallo di due secoli, tra l’esposizione milanese del 1891 e la Biennale veneziana del 1907 che ne segnò l’acme e l’epilogo. Appena sedici anni che cambiarono il corso della pittura nazionale, facendola entrare nella modernità. Nel 1909 infatti, orchestrata dal deus-ex-machina Marinetti, proprio dal Simbolismo, sarebbe germogliata l’avventura solo apparentemente così diversa del Futurismo.
Le due leggendarie maternità di Previati e Segantini che nella Triennale del 1891 divisero gli animi, di nuovo vis-à-vis e affiancate alle sculture di Adolfo Wildt e Pietro Canonica dedicate allo stesso tema, introducono al percorso di una straordinaria rassegna, la prima dedicata al Simbolismo in Italia, allestita nelle sale di Palazzo Zabarella a Padova. In mostra un centinaio di opere, tra dipinti, sculture e disegni, distribuite in otto sezioni tematiche a documentare il percorso che condusse l’arte italiana dal Realismo dell’ultimo decennio degli anni Ottanta alle poetiche del Decadentismo, alla vigilia della Prima Guerra mondiale. Dopo le maternità a cui è dedicata la prima sezione arrivano i volti dei protagonisti del Simbolismo italiano riuniti nella seconda. Sono ritratti e autoritratti parlanti che scavano nell'animo dell’effigiato e ne rivelano i segreti del cuore. Così fa Pellizza da Volpedo che esibisce la propria angoscia in un’opera magnifica, densa di simboli allusivi alla sua vicenda artistica e di intellettuale ma anche alla sua tormentata vicenda umana. Alberto Martini si propone invece come peintre-magicien, rappresentandosi in una figura elegante e inquietante con mani che sviluppano luci incandescenti, spiritelli, libri aperti dai quali emergono creaturine alate, profili di città appena percepibili nella penombra di un’eclisse di luna. Secondo l’autore infatti: " Chi vive nel sogno è un essere superiore, chi vive nella realtà uno schiavo infelice".
Più attenti e fedeli ad una rappresentazione formale e, in certa misura, ufficiale della propria immagine, Previati, ma anche Chini, Sartorio, von Stuck che si rappresentano in figure meno complesse prive di simboli o di espliciti riferimenti alla propria poetica. E non poteva mancare Segantini, presente in mostra con quel capolavoro di introspezione che è il busto realizzato da Troubetzkoy.
"Un paesaggio è uno stato dell’anima" scriveva Henry-Frédéric Amiel, e a questo principio è ispirata la sezione dedicata al paesaggio che ebbe un posto rilevantissimo nella poetica simbolista. Affidandosi alle proprie emozioni gli ipersensibili artisti di fine secolo dipingevano nebbia e fulmini, vento e  tormente di neve, facendo della natura la cassa di risonanza dei loro più segreti turbamenti. A prefazione di questo tema l’ "Isola dei morti" di Böcklin nella raffinata ed inedita versione di Otto Vermehren seguita da capolavori come la "Passeggiata amorosa", e "La Neve" di Pellizza da Volpedo, "Monta la nebbia da la Valle…" di Vittore Grubicy de Dragon, il "Chiaro di luna" di Previati, il "Notturno" di Plinio Nomellini, "Il laghetto dei salici" di Guido Marussig, attraversati da un sentimento panico di fusione con la natura e con l’universo. Guidati da Nietzsche e poi da Freud, i simbolisti si affacciarono sull’orlo dell’abisso raggiungendo con la potenza dell’immaginazione le regioni più inaccessibili dell’animo umano che tradussero in immagini di inquietante potenza riunite nelle sezione dedicata all’abisso e alla rappresentazione del mito e del sogno. Una straordinaria forza onirica, determinata anche dall’originale interpretazione del linguaggio divisionista, domina grandi dipinti come "Il giorno sveglia la notte" e "Il sogno", di Previati dove il motivo comune delle due figure abbracciate in volo, derivato dai danteschi Paolo e Francesca, affrontato da Previati e Boccioni rivela le forti affinità, ma anche la diversa sensibilità, tra i due protagonisti del Divisionismo e del Futurismo. Mentre il romano Sartorio, pittore prediletto da d’Annunzio, preferisce evadere lungo i percorsi sensuali e apollinei del mito declinati, come in "La Sirena", con una stile che si rifà alla tradizione classica e ai preraffaelliti. Sospesi tra eros e thanatos, i simbolisti assegnarono alla donna, potenza creatrice ma anche distruttrice, un ruolo fondamentale nella loro pittura: vista come una "Sfinge" dal piemontese Leonardo Bistolfi, è una "Cleopatra" di conturbante erotismo per Previati, diventando emblematico simbolo di amore e morte nelle opere capitali dei due capiscuola del Simbolismo tedesco transitati alle Biennali di Venezia: il sensualissimo "Il peccato" col serpente di Franz von Stuck e la «Giuditta con la testa di Oloferne» di Gustav Klimt, voluttuosa e lasciva.
Il grande tema del mistero della vita con i suoi eterni interrogativi: Perché si vive? Da dove veniamo? Dove andiamo? Chi siamo? Sino al centro della sezione successiva
I simbolisti vivono il mistero della vita come un incanto, in contemplazione di una rinnovata armonia fra uomo e natura. Fra i nostri artisti c’è chi come Sottocornola idealizza la figura materna nell’amore sconfinato, totale dell’abbraccio in controluce raffigurato da in "Gioie materne". Chi come Pellizza, medita sulla pacata armonia tra uomo e natura, ne "La Processione", il primo quadro realizzato con la tecnica divisionista, in cui l’alternanza di luci e di ombre diventa un’allegoria della vita dell’uomo, mentre ne "Il morticino (Fiore reciso)" riflette sulla morte più crudele, quella di un bambino. Chi come Segantini in "Petalo di rosa", offre uno struggente ritratto della propria compagna, Bice Bugatti, ammalata di tisi che diventa simbolo del risveglio e del ritorno alla vita e in "Amore alle fonti della vita" rappresenta un mistico angelo sospettoso.
Il tema doloroso della vecchiaia è affrontato da Morbelli in una serie di tele come "Il giorno di festa al Pio Albergo Trivulzio", realizzate dall’artista durante il suo lungo soggiorno nell’ospizio milanese, o da Casorati ne "Le vecchie" trasfigurate in una dimensione allegorica. La struttura tipicamente simbolista del trittico sperimentata, pur con soluzioni pittoriche molto diverse da Mentessi, che privilegia una dimensione epica, e da Balla, che adotta un taglio fotografico dell’immagine, favorisce una meditazione religiosa sul significato e il valore dell’esistenza.
Una sezione suggestiva è dedicata al "Bianco e Nero", categoria che in quegli anni riuniva disegno e incisione e che per gli artisti fu terreno privilegiato delle più ardite sperimentazioni con incursioni in campi inusuali o inadatti alla pittura come l’allegorico, il fiabesco, il fantastico e l’orrido. Profonde relazioni con il Simbolismo internazionale si avvertono nelle illustrazioni di Previati per I racconti straordinari di Edgar Allan Poe e ne "La maschera dell’anarchia" di Sartorio, realizzate alla fine dell’Ottocento. Ed ancora dalla fantasia macabra e crudele di Alberto Martini si passa alla mitografia arcaica di Cambellotti, per finire con alcune emblematiche opere grafiche prefuturiste, come il disegno "Beata Solitudo" di Boccioni o rare acqueforti di Russolo e Rosai.
La mostra padovana documenta anche i contatti dei nostri pittori con i grandi simbolisti stranieri presenti in Italia, dai preraffaelliti a Böcklin, von Stuck, Klimt, conosciuti attraverso le Biennali di Venezia. A chiudere il percorso è la ricostruzione della famosa Sala del Sogno che alla Biennale del 1907 che rappresentò la consacrazione ufficiale del Simbolismo. Frutto del lavoro congiunto di Plinio Nomellini, Galileo Chini, Edoardo De Albertis e Gaetano Previati la Sala del Sogno era stata pensata come "un insieme di pretto italianismo", "evocazione di nostra grandezza presagio di nostro avvenire", sulla scorta di ideali risorgimentali e nazionalisti, di suggestioni dannunziane, di accenti simbolisti e di un credo quasi religioso nell’azione formativa dell’arte, provocò un acceso dibattito critico con le sue trentasei opere realizzate da diciotto artisti, di cui dodici stranieri. Otto di quelle opere, firmate da Previati, Alberto Martini, Nomellini, Guido Marussig, Chini e De Albertis, sono oggi in mostra a Padova compresa la celeberrima di "Diavolessa" di Martini che a Venezia non fu esposta, venduta già prima dell’apertura della Biennale.

Informazioni
Padova, Palazzo Zabarella
dal 1 ottobre 2011 al 12 febbraio 2012
Orari: 9.30 - 19.00
Chiuso i lunedì non festivi
Biglietti: intero euro 10,00; ridotto euro 8,00
Informazioni: Tel. (+39) 049 8753100
( Fonte: http://www.italica.rai.it/scheda.php?scheda=simbolismo_italia&cat=arte&cat=arte)
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