Già a partire dalla prima metà del Trecento il litorale adriatico venne colonizzato dai pittori veneziani. Furono in particolare le floride Marche ad attrarre nutriti drappelli di artisti in cerca di una committenza sensibile e ben disposta. I signori del luogo e soprattutto i danarosi mercanti presenti nelle città marchigiane più importanti come Ascoli, Fabriano, e in centri più piccoli come Matelica, Sanseverino, Amandola, Montefortino, Monte San Martino, San Ginesio, Sarnano accoglievano infatti a braccia aperte gli artisti veneti, (ma anche toscani e umbri), giunti a riempire di pale e polittici le loro chiese e le loro case. Fu in questa terra appartata dai centri maggiori della cultura umanistica, eppure vitale, che sul finire degli anni Sessanta del Quattrocento arrivarono i fratelli Carlo (1430/35 - 1494/1495) e Vittore Crivelli (1440 ca - 1501/1502) lì condotti dalle vicende sentimental-giudiziarie del primo. Coetaneo di Mantegna e di Giovanni Bellini, figlio d’arte, educato alla pittura dal padre nella Venezia di Jacopo Bellini e dell'officina muranese dei fratelli Vivarini, Carlo era entrato presto nella cerchia squarcionesca legandosi all’ambiente patavino di metà del secolo. Nel 1457, scontata la condanna a sei mesi di carcere per il rapimento e l’adulterio commesso con la moglie di un marinaio, il giovane pittore abbandonava Venezia, seguendo a Zara Giorgio Culinovic, suo collega e sodale squarcionesco di origini dalmate. Qualche tempo dopo anche Vittore, discepolo ed emulo di Carlo si sarebbe trasferito a Zara. Ma già alla fine degli anni Sessanta Carlo, irrequieto e ambizioso, attraversava di nuovo l’Adriatico per raggiungere le Marche dove, nel 1468, dipingeva per il conte Azzolini di Fermo il polittico di Massa Fermana. Ancora una volta Vittore lo seguiva, arrivando anch’egli a Fermo verso la fine degli anni Settanta. A dispetto di questi spostamenti sequenziali i due fratelli non furono particolarmente legati, almeno nella maturità, come conferma la loro scelta di stabilirsi in città diverse una volta giunti nelle Marche. Carlo fu prima a Fermo e poi ad Ascoli, spostandosi negli ultimi anni di carriera fino a Camerino dominata dai Varano e Ancona, lavorando per la nobile famiglia Ferretti. Vittore invece non si sarebbe mai spostato da Fermo dove la sua fiorente bottega produceva pale d’altare e polittici per una committenza religiosa e estesa dalle valli interne fino alle pendici dei Monti Sibillini. Né dovettero frequentarsi molto visto che Vittore apprese tardivamente e per caso la notizia della morte del fratello, ma non esitò a rivendicare la sua quota di eredità. Né mai collaborarono, con l’eccezione del sontuoso polittico raffigurante la Madonna col Bambino dormiente e santi della chiesa di Monte San Martino, e anche in questo caso avvenne con modalità singolari: abbandonata da Carlo che vi aveva dato inizio, questa “macchina” d'altare fu ripresa e conclusa da Vittore in un momento successivo.
Pittore tardogotico, anche se con vertici decorativi. Artista “straordinario ma orgogliosamente, e ostinatamente, sordo a qualsiasi cambiamento”. Queste le accuse sbrigative che hanno colpito Carlo Crivelli, nota stonata nel coro classicheggiante della pittura rinascimentale italiana. Lo stile e la tecnica delle sue opere richiamano infatti le potenti suggestioni mistiche del gotico europeo, filtrate attraverso una sensibilità visiva tipicamente mediterranea, sontuosamente neo-bizantina nelle vesti e manti lussuosamente arabescati e i parapetti marmorei, i drappi variegati e gli opulenti festoni di frutta. E persino più devastante il giudizio su Vittore accusato di riprodurre “una formula di mero artigianato”, ripetizione dei “motivi di Carlo, congelati e imbalsamati e avviliti da intenzioni di un patetismo devozionale che precipitano in una maniera che l'aggettivo lacrimosa caratterizza alla perfezione”.
Se il tempo ha reso giustizia all’arte di Carlo Crivelli”pittore smagliante” “immerso in un tripudio d'oro” un’interessante mostra allestita negli spazi del Palazzo del Popolo a Sarnano, recupera la figura di Vittore, e da essa muove per offrire uno spaccato di quella peculiare e vivacissima stagione artistica del Rinascimento dell’Appennino che nella seconda metà del Quattrocento fu densa di importanti testimonianze figurative.
La mostra si costruisce per confronti. Inevitabile quello con Carlo, del quale sono esposte alcune importanti opere come l'ancora mantegnesca “Madonna con Bambino” della Pinacoteca civica di Macerata, e con Girolamo di Giovanni, maestro marchigiano la cui arte ha espresso “gli accordi più lucidi e più sottilmente calibrati fra Piero della Francesca e Padova” (F. Zeri). Si prosegue con il semisconosciuto Vittore del quale per la prima volta viene presentato un consistente numero di opere, prestate da chiese del territorio, musei e collezioni private.
L’arte di Vittore appare fecondata dall’incontro con l’humus culturale marchigiano pervaso da quella cultura dell’oro e dal gusto dell’ornamento che si esprimeva nelle creazioni di maestri orafi locali come Pietro Vannini. Significativo a riguardo il confronto tra due Madonne adoranti il Bambino dipinte da Vittore a dieci anni di distanza: la prima, proveniente dalla chiesa di San Fortunato a Falerone, firmata e datata 1479 risale all’epoca del suo arrivo nelle Marche; l’altra, della Pinacoteca di Sarnano ma proveniente dalla chiesa di San Francesco, è di circa dieci anni successiva, e mostra quanto il Crivelli avesse appreso nel frattempo dalla cultura artistica locale.
In mostra anche opere come la “Madonna del Monte” di Massa Fermana, o la “Madonna in adorazione di Gesù” di Sarnano, splendida nel suo manto trapunto che ricorda i preziosi decori di Carlo e ricca di reminiscenze della pittura padovana, o ancora la nobile e severa “Santa Chiara” di collezione privata e la dolente “Pietà” di Macerata in cui Vittore si rivela capace di costruzioni potenti, sempre tecnicamente ineccepibili. Di realismo sorprendente sono i ritratti del beato francescano Giacomo della Marca raffigurato in una tavola della Pinacoteca civica di Ripatransone e in un'altra della Galleria nazionale delle Marche di Urbino.
A raccontare quella fase di euforia dell'arte marchigiana del tardo Quattrocento, definita “pseudo-Rinascimento” da Federico Zeri, sono le opere marchigiane degli anni Sessanta e Settanta del Quattrocento, precedenti all’arrivo di Vittore Crivelli: Niccolò di Liberatore detto l’Alunno, Francesco di Gentile da Fabriano, Lorenzo d’Alessandro, Luca di Paolo da Matelica, Stefano Folchetti, Pietro Alamanno mostrano un’arte lontana dalla sublime compostezza del Rinascimento fiorentino, e invece intrisa di suggestioni pierfrancescane e reminiscenze del grande Gentile da Fabriano, echi donatelliani e ricordi squarcionesco-mantegneschi
A completare l’immersione in questa cultura dell’oro che si esprimeva nell’utilizzo di tecniche orafe per cesellare le stoffe e rilevare le aureole e gli oggetti preziosi, ma anche nella matericità dei colori e degli ori, la rassegna presenta anche lavori di oreficeria, documenti e sculture, tra cui spiccano il bellissimo “San Sebastiano” ligneo di Domenico Indivini da Sanseverino, maestro anche di legname e di tarsie, e le due figure di Presepe (“Maria orante” e “San Giuseppe”, in legno parzialmente dorato) attribuite ad uno sconosciuto “maestro Domenico” che da esse trasse l'epiteto “del Presepe”.
Da non perdere gli itinerari artistici nel territorio che danno vita a una sorta di museo diffuso ricco di capolavori di questo Rinascimento misconosciuto. Da visitare assolutamente è la Chiesa di San Martino, nell’omonimo borgo a pochi chilometri da Sarnano, dove è possibile ammirare lo straordinario polittico realizzato da Carlo e Vittore Crivelli, e i due trittici del solo Vittore firmati e datati rispettivamente 1489 e 1490. ( Fonte: http://www.italica.rai.it)