Per una volta almeno, c'è un pizzo da rispettare, gustare e conservare: si tratta di uno dei prodotti più antichi dell'agricoltura campana, tanto da figurare perfino nella scena del presepe napoletano, e il pizzo in questione - la punta è quello dell'estremità. Parliamo dei pomodorini piennoli (pendoli) del Vesuvio, così chiamati per l'abitudine di appenderli a grappoli interi alle pareti o ai soffitti, legati con cordicelle di canapa. Maturano tra luglio e agosto, ma l’antico procedimento di conservazione permette di avere fino all’inverno, quando non alla primavera successiva, questi pomodori incredibilmente saporiti con cui condire piatti di pesce, pizze e paste. L'elevata consistenza della buccia del pomodorino del piennolo e l’alta concentrazione di zuccheri e acidi sono legate ai suoli vulcanici ricchi di minerali di alcuni comuni dell’area Somma-Vesuviana, protetta dal Parco Nazionale del Vesuvio (www.parconazionaledelvesuvio.it): una rete di sentieri che, per chi ama camminare, permette un'esperienza diretta e affascinante del territorio. Il Gran Cono, con partenza da Ercolano, il trenino a cremagliera, il monte Somma, la riserva Tirone sono alcuni dei percorsi previsti; volendo, si possono raggiungere i comuni del Parco con la ferrovia circumvesuviana. Una suggestione cinematografica potrebbe accompagnare la visita: il Viaggio in Italia di Rossellini, che si svolge appunto tra Napoli, Pompei e dintorni, e resta un esempio ineguagliato di come un paesaggio possa entrarci dentro, diventando parte del nostro sentire. La piana vulcanica vesuviana offre una chiave d'ingresso alla gastronomia partenopea che, dopo le influenze greche (olio, vino, grano), bizantine e arabe via Sicilia (mandorle, miele, pasta, uvetta), comprende a partire dal Settecento u n a cucina opulenta, borbonica, con cuochi francesi chiamati a corte con i loro timballi, gattò e babà, e la cucina popolare dei «mangiafoglie», basata appunto su pomodori, peperoni, zucchine, melanzane, carciofi della piana. Una cucina che ha trovato, peraltro, un testimonial del tutto imprevedibile in Giacomo Leopardi, di cui la Biblioteca Nazionale di Napoli conserva alcune decine di ricette trascritte dal poeta nel corso di un soggiorno nel 1833, con espressioni di gratitudine per la gioiosa semplicità dei sapori e delle preparazioni, dagli ortaggi alle paste.
"Una cucina opulenta con cuochi francesi chiamati a corte con i loro timballi e babà"
Come quelle di Gragnano, 30 km a sudest di Napoli, dove vale la pena di vedere la via principale che - caso unico al mondo - fu costruita in modo da ricevere luce per l'essiccazione della pasta sistemata fuori dai pastifici, e godere di correnti d'aria ottimali. Pasta chiama pomodoro: San Marzano stavolta, coltivato principalmente attorno a Napoli e nell' agro sarnese-nocerino in provincia di Salerno. Delicato, dalla buccia sottile, conserva a lungo il sapore, si coltiva come la vite e si raccoglie in modo scalare: 7-8 volte o anche di più, da luglio a settembre, soltanto se è ben maturo e solo quando cala il sole. Raggiunta la provincia di Salerno si può scegliere tra il tour della costiera amalfitana, il sempre affascinante festival musicale di Ravello (www.ravellofestival. com) che da giugno a settembre si svolge all'interno di Villa Ruffolo, o la grande varietà di paesaggi offerti dal Parco del Cilento e Vallo di Diano. O magari un'escursione o un corso di cucina in una cooperativa di produttori di San Marzano: che poi, se ricordate il celebre monologo della ricetta del ragù raccontata dal grande Eduardo, sarebbe anche un po' un corso di teatro. ( Fonte: www.lastampa.it)
"La Biblioteca Nazionale di Napoli conserva alcune ricette trascritte da Leopardi nel 1833"
" All'ombra del Vesuvio piennoli e San Marzano" di Antonio Attorre
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