Fonte: www.gazzettadiparma.it
" Botswana, paradiso di acqua e sabbia" di Luigi Alfieri
Il Botswana è un paradiso di sabbia e di acqua. Un grande deserto dove i fiumi arrivano nel mezzo del nulla e portano la vita. E che vita: laghi e paludi pieni di ippopotami, aquile e coccodrilli. Savana zeppa di giraffe, antilopi, zebre, iene, facoceri, rinoceronti, gnu, manguste, serpenti. Ben rintanati nel bush ci sono leoni, leopardi, scimmie, serval. Tra l'erba occhieggiano, quasi invisibili, i ghepardi. In cielo volteggiano, falchi, gru, aironi, avvoltoi.
Arriva un fiume, in Botswana, che nasce in Angola col nome di Kubango e dopo avere percorso più di mille chilometri lungo il confine della Namibia ed avere preso il nome di Okavango, invece di finire nel mare, si butta nella sabbia del Kalahari, dando vita a una delle sette meraviglie della natura. Un delta interno, un ecosistema unico al mondo. Laghi dolci e salati, migliaia di microisole, paludi solcate da un'acqua pura e cristallina, smisurate distese di ninfee dall'incontenibile color lilla. Prati acquatici attorno a cui sguazza l'intera arca di Noè in versione africana. E ovunque, nell'aria, il profumo «asprodolce» della salvia selvatica, che si fissa nelle narici come le zecche si fissano sulla pelle dei leoni. Quando il giorno muore sull'Okavango, tingendo il cielo di rosso, bisogna prendere una di quelle piccole piroghe che gli indigeni chiamano «mocore» e addentrarsi tra canne e fiori. La barca scivola silenziosa sull'acqua color indaco, in cielo volteggiano i martin pescatore, gli ippopotami camminano sul fondo della palude brucando sott'acqua come se fossero in un prato, il tempo è sospeso, scompare la differenza tra un attimo e l'eternità. Fino a che dai cespugli d'argento che macchiano la riva non spunta una fila di elefanti rumorosi. Si lasciano scivolare nell'acqua, bevono, giocano, e, fradici, tornano a riva per rotolarsi nel fango e costruire una corazza a prova di parassiti e insetti. Gran parte del delta interno è occupato dalla riserva di Moreni, un parco che non teme il confronto con Serengheti, Etosha, Masai Mara, N'goro N'goro. Da Chief Island, il cuore della palude, partono indimenticabili safari in caccia di leoni e leopardi. Raramente i «ranger» locali mancano l'appuntamento con la preda. E quando la fiera compare davanti al cacciatore, al posto di una fucilata sibila l'otturatore della macchina fotografica.
Il Delta non è l'unico eden acquatico del Botswana. Diversi chilometri più a Ovest, scivola verso il mare un altro fiume, che come tutti i corsi d'acqua africani cambia spesso il suo nome lungo il percorso: nasce in Angola col nome di Kuando, diventa Linyanti appena passato il confine e prima di buttarsi nello Zambesi si trasforma in Chobe. Un fiume mitico per gli innamorati dell'Africa. Un fiume che dà il nome a un parco straordinario che ospita più di 120 mila elefanti (così giurano le guide). Per godersi il Chobe, bisogna fare una crociera sulla «Zambesi Queen», una grande barca a fondo piatto, un albergo «cinque stelle» viaggiante, che scivola placido sulle acque che dividono la Striscia di Caprivi, che appartiene alla Namibia e il parco degli elefanti, che appartiene al Botswana.
L'acqua è blu come il cielo, le aquile volano alte nell'azzurro, branchi di ippopotami sguazzano nell'acqua, gli elefanti nuotano nella corrente, sulla sponda meridionale si abbeverano giraffe, zebre, antilopi e, a volte, anche i leoni. Se dall'acqua si passa alla terra, si entra nel grande parco di Chobe, e si studiano gli animali da vicino, il discorso cambia: l'idillica poesia del paesaggio cede il passo alla cruda realtà della natura. La riserva è il posto migliore per osservare il ciclo della vita (e della morte) nella savana e nel bush. Dietro alla bellezza dei colori, all'incanto dei profumi, alle luci terse di mezzogiorno, spuntano sentimenti inquietanti. Spunta la consapevolezza che ogni animale vive sotto una minaccia continua, un rischio permanente. L'aggressione violenta e la morte sono lì a due passi. La sete e la fame spingono spesso verso il rischio e la fine. Nessuna bestia è sicura tra le erbe e i cespugli dell'Africa. Lo scopri vedendo le manguste che scavano il suolo per andare ad acciuffare insetti rintanati mezzo metro sotto terra. Sicuri di essere inattaccabili. Invece la mangusta affamata ne percepisce l'odore e guidata dal naso infallibile si lancia in una ricerca spietata e quasi sempre vittoriosa. Intanto, nel cielo sterminato, volteggia l'aquila pronta a lanciarsi sulla mangusta, ghermirla con gli artigli, portarla alta nel blu, lasciarla cadere al suolo per ucciderla e divorarla. L'antilope, la gazzella, le zebre, ogni volta che si portano verso un pozza d'acqua per dissetarsi rischiano di finire tra le fauci di un leone o di un leopardo, di una iena o di un branco di spietati licaoni.
Ma la minaccia incombe anche sul re della foresta: i documentari televisivi sulle scene di caccia ci hanno insegnato a parteggiare per la povera gazzella aggredita, ma se il leone non riesce a catturare la preda in pochi attimi, la sua vita e quella dei suoi cuccioli sono a rischio. La fame, il motore che muove tutto il ciclo della vita, li strangolerà. Come la mancanza di prede può strangolare il leopardo e la iena. Le leggi della natura sono spietate con tutti gli animali. Anche con l'elefante che sembra invincibile. Il pachiderma proboscidato muore in un modo terribile: lo uccide il consumo dei denti. Verso i sessant'anni, quando è ancora forte e vitale, il logorio totale dell'apparato masticatorio lo costringe ad arrendersi all'inedia. Si apparta dal branco, crolla sotto un'acacia e, prima i leoni, poi le iene, infine gli avvoltoi, si saziano del suo corpo un tempo invincibile. Nessuno è mai al sicuro nel parco di Chobe. Il serpente è vittima della mangusta. Le termiti sono preda dei formichieri, il rinoceronte, forte e saldo come un carro armato, è il bersaglio di spregiudicati bracconieri che scendono dall'Angola e dallo Zambia per carpire il suo corno miracoloso, che ridona all'uomo - credono alcuni - il vigore sessuale. Dietro la patina del bello e del pittoresco, la vita nelle praterie del continente nero corre spietata e piena di paure, di ansie. Tutto è tenuto insieme da fili fragili e sottili. Proprio come nella nostra vecchia Europa. O no?
Fonte: www.gazzettadiparma.it
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