Ludovico Sforza e Cecilia Gallerani s'incontrarono nel 1489, in occasione delle nozze di Bianca di Pietro Gallerani, membro del consiglio segreto del Moro, con il maggiordomo di Alfonso D' Aragona. Per questo combino, Ferrante re di Napoli (zio di Alfonso) ricompensò Ludovico con l'ordine di San Michele o dell'ermellino. Il duca di Milano aveva trentasette anni ed era già promesso a una delle figlie del duca d'Este, Isabella o Beatrice (nel 1494 avrebbe sposato quest'ultima). Cecilia era una fanciulla di buona famiglia e aveva quasi sedici anni. La bellissima giovinetta divenne l'amante del condottiero-predatore stregandolo al punto che questi non se ne separava mai, giungendo a chiederne un ritratto al suo artista di corte. Leonardo Da Vinci dipinse Cecilia Gallerani a Milano tra il 1489 e il 1490. Il ritratto ("La dama con l'ermellino") apparve subito di bella fattura e di complicati rimandi allegorici. Cecilia veste alla spagnola, porta perle nere al collo e stringe tra le mani un'ermellino, animale che in greco si chiama "galé" e per questo rinvia sia al cognome della fanciulla sia all'onorificenza ricevuta dal Moro. Questo quadro "privatissimo", destinato alla visione appartata del solo committente e di una ristretta cerchia di amici e letterati, restò tale per ben poco tempo: il poeta di corte Bernardo Bellincioni ci confezionò sopra un laudante sonetto pubblicato nel 1493 ("Sopra il ritratto di Madonna Cecilia, qual fece Leonardo") e la duchessa di Mantova, Isabella d'Este, nel 1498, interpellò Cecilia (che nel frattempo s'era maritata a un Bergamini) perché glielo prestasse per un mesetto (al fine di confrontarlo con la pittura di Giovanni Bellini e in vista della richiesta di proprio ritratto al genio da Vinci). Le peripezie storiche portarono il quadro nelle collezioni di Rodolfo II d'Asburgo e poi, all'inizio dell'800, divenne proprietà dei principi Czartoryski. Fu portato a Cracovia e sopravvisse per miracolo alla furia di un nazista che con un colpo di tacco spezzò l'angolo superiore sinistro della tavola. Questo dipinto leggendario, forse il più bello di Leonardo, che rivoluziona la tradizione ritrattistica quattrocentesca per l'originalità della posa - né profilo, né tre quarti - e l'intensità dell'espressione, che sembra stabilire un rapporto simbolico fra il volto aristocratico della fanciulla e il carattere araldico dell'animale, emblema del Moro, è la punta di diamante di una mostra di capolavori in corso al Bode - Museum di Berlino dedicata al ritratto nell'arte rinascimentale italiana. A partire dal XV secolo, nella cultura figurativa, non solo italiana, si fa strada il ritratto come genere autonomo in ossequio alla visione dell'uomo che padroneggia il visibile con pupilla ferma, orgogliosa ed autocentrante, propria dell'Umanesimo. Tra il Quattrocento e il Cinquecento in Italia, il ritratto conquista lo status di opera d'arte, diventa veicolo di relazioni affettive, sociali e diplomatiche e si assesta in un ventaglio di precise tipologie e di peculiarità che lo distinguono dalla coeva ritrattistica fiamminga. Se nelle Fiandre il ritratto, nato come un bene intimo da contemplare in segreto, si afferma nel piccolo formato, in Italia nasce e cresce un ritratto d'altro carattere e misura: da subito più grande, da esporre più che riporre, e in prevalenza ripreso di profilo, come compaiono Cesari e congiunti sulle monete della Roma imperiale. Ed ancora, mentre il ritratto nordico nasce con la mimesi sapientissima che la tecnica a olio consente, quello italiano tende a idealizzare il modello e, attraverso la maggiore astrazione del tessuto pittorico possibile con la tempera, deve mirare ad altri effetti.
Nella rassegna berlinese, Masaccio, Donatello, Beato Angelico, Pisanello, Botticelli, i Ghirlandaio, Verrocchio, Andrea del Castagno, Filippino Lippi, Luca Signorelli, Leon Battista Alberti, Mantegna, Foppa, i Bellini, Carpaccio, e molti altri fino a Raffaello e Leonardo, (in tutto 40 artisti eccelsi), sfilano con168 opere, tra dipinti, disegni, sculture, medaglie, prestate da 50 musei o collezioni di tutto il mondo, dal Metropolitan al Louvre, dagli Uffizi alla National Gallery di Londra e a quella di Washington, nonché dalle collezioni dei musei tedeschi.
L'inedito taglio geografico del progetto espositivo che si concentra sulle corti italiane del XV secolo, compone una mappa della ritrattistica rinascimentale italiana consentendo di cogliere le specificità di ognuna.
La mostra prende avvio dalla Firenze del primo '400 dove si afferma la tipologia del ritratto di profilo di derivazione classica e con una funzione geneaologico-familiare: cementare, se doppio, un rapporto di amicizia, solennizzare un matrimonio; comunque far memoria di eventi importanti per il casato o strumento per rendere presente a chi l' ama l'assente vivo o defunto.
Nella prima metà del secolo Donatello e Masaccio attuano un'autentica rivoluzione del linguaggio figurativo. E' Donatello a rinnovare profondamente il genere aprendo allo stesso tempo agli sviluppi del ritratto con il "Busto reliquiario di San Rossore", (bronzo dorato del 1426-28 ca in arrivo dal Museo di San Matteo a Pisa). Il busto in mostra non è un ritratto, ma i mezzi illusionistici che rendono la verità del volto segnano la strada per gli artisti successivi che riporteranno in auge il tema di derivazione antica del busto-ritratto. Donatello infatti tratta il volto del personaggio curando ogni minimo dettaglio per restituirne l'espressione leggermente accigliata e severa.
Di Masaccio la mostra presenta il bellissimo "Ritratto di giovane" della National Gallery of Art di Washington, unico esemplare superstite della sua produzione ritrattistica autonoma. Dipinto intorno al 1425 è uno degli esemplari più antichi del ritratto fiorentino di profilo, ma soprattutto esso intreccia, pur muovendo dalla fiorente cultura tardogotica locale, un sorprendente dialogo con la coeva cultura fiamminga a cui appartiene il prototipo del ritratto di uomo con turbante. A documentare la fortuna di tale modello la mostra espone le versioni di Paolo Uccello e quella di Domenico Veneziano. Vanno inoltre segnalati la "Testa di giovane chierico", un intenso disegno di Beato Angelico (prestato dagli Windsor) e gli incantevoli disegni di Lorenzo di Credi (dal Louvre).
Restando a Firenze, la mostra prosegue documentando una serie di primati: il "Ritratto d'uomo"di Andrea del Castagno da Washington (1450 circa), primo esempio noto di ritratto autonomo visto frontalmente, mentre si torna alla convenzione del ritratto di profilo, tipica della pittura fiorentina di metà Quattrocento, con il "Doppio ritratto"di Filippo Lippi, 1437 ca., in cui un'elegante dama di profilo in un interno, fronteggia un cavaliere che pare sbucare da una finestra. Anche questa tavola, in arrivo dal Met di New York, detiene comunque una serie di primati assoluti: primo esempio in Italia di ritratto femminile, (assieme al "Ritratto di principessa estense di Pisanello", di poco successivo); il più antico doppio ritratto noto; primo ritratto italiano che colloca la figura su uno sfondo architettonico e con un paesaggio, sull'esempio dei Primitivi fiamminghi che per Lippi furono spesso fonte d'ispirazione. Ad inaugurare la serie di magnifici ritratti femminili è il "Ritratto di Dama"(1470-72) di Piero del Pollaiolo, dal profilo che si staglia lieve e nitido nell'aria, l'intrico sottile ed elegante dell'acconciatura, il busto pronto a ruotare. Eccezionalmente prestata dal Museo Poldi Pezzoli, l'opera che dal 1935 per la prima volta esce da Milano, dialoga con i ritratti di dama dipinti dal fratello Antonio (1460) (Gemälde Galerie di Berlin) e dallo stesso Piero una decina di anni dopo, ma a tempera (dal Metropolitan).
La celebrazione dei Medici, la meditazione sui modelli fiamminghi e il tema del ritratto capace di rappresentare l'anima del personaggio accomunano l'arte di Domenico Ghirlandaio e quella di Sandro Filipepi detto il Botticelli, entrambi attivi nella Florentia felix di Lorenzo il Magnifico.
Il prodigio di realismo e sapienza compositiva creato da Ghirlandaio nel suo "Ritratto di vecchio con nipote", (1490 ca.), (Louvre) accreditano il pittore quale interprete più felice di quella oligarchia borghese che proprio nella Firenze medicea ebbe onori e ricchezze.
Testimone e geniale cantore dei sogni umanistici di quell'universo elitario, autoreferenziale e intellettualmente sofisticato fino allo snobismo che ruotava intorno alla famiglia del Magnifico, fu invece Sandro Filipepi presente in mostra attraverso il volto enigmatico di Simonetta Vespucci, nobildonna amata da Giuliano de' Medici e incarnazione di quella bellezza ideale che il pittore raffigurò in numerose occasioni. La rassegna del Bode propone due ritratti della giovane dama sempre riccamente ornata nelle vesti e nell'accconciatura e raffigurata di profilo, realizzati il primo a tempera (1476) (dalla Gemälde Galerie), e l'altro su tavola di pioppo (1480- 85) (da Francoforte), rappresentata come ninfa e con antico cammeo al collo. Nella sala in onore dei Medici, sono riunite le tre versioni del Giuliano, fratello di Lorenzo il Magnifico caduto per la Congiura dei Pazzi (1478), che Botticelli dipinse sempre di tre quarti ma su sfondi diversi: nella tempera di Berlino, in quella della Carrara di Bergamo, nella tavola (National Gallery di Londra). Giuliano torna nella scultura stupefacente di Andrea del Verrocchio (da Washington), mentre Lorenzo è schizzato a penna in un prezioso disegno di Leonardo (da Windsor) e in rare medaglie.
A Venezia il ritratto si afferma a partire dalla seconda metà del Quattrocento e con alcune peculiarità nell'impianto compositivo e nelle scelte cromatiche che segnalano la progressiva rottura di stilemi convenzionali, in favore di pose più libere e consone all' identità del modello. Si parte da Mantegna con il suo Cardinale Ludovico Trevisan, veneziano, comandante di truppe papali ritratto intorno al1459 a guisa di imperatore romano in un'espressione seria e fiera che restituisce l'immagine di virtù e austerità del personaggio. Importante nella ritrattistica di Mantegna e in generale per quella italiana del '400, il dipinto è uno dei primi, insieme al "Ritratto d'uomo" di Andrea del Castagno ad abbandonare la posa di profilo e a mostrare il personaggio di tre quarti. A seguire la produzione della famiglia Bellini: con il padre Jacopo del quale è in mostra l' intenso "San Bernardino da Siena"(1459) dalla National Gallery di Washington; Gentile, ("Ritratto di Doge") e Giovanni, con "Giovane senatore"di Berlino e "Ritratto di giovane"dai Musei Civici di Padova.
Infine Antonello da Messina, il cui arrivo a Venezia nel 1475 segnò una svolta nella storia del ritratto. Al pittore siciliano si deve infatti la fusione del modello fiammingo, con l'indagine minuziosa sul reale, la resa mimetica della materia e la penetrazione psicologica dell'individuo alle conquiste del Rinascimento italiano: creazione di uno spazio razionale, dominio dell'anatomia ed essenzialità.
Nelle corti italiane del'400 - Milano, prima dei Visconti e poi degli Sforza; Napoli, governata
dagli Aragonesi; Mantova dei Gonzaga; Ferrara degli Estensi; Bologna dei Bentivoglio; Rimini, deiMalatesta; Urbino dei Montefeltro; Pesaro degli Sforza; Camerino dei da Varano - il ritratto ha una funzione diversa da quella che riveste nella Firenze medicea. Serve a celebrare il signore, il suo potere e la sua ricchezza; a esaltarne le virtù e i legami familiari, la sua vita e le sue imprese. In mostra si passeggia tra le magie di Pisanello - tra cui il celeberrimo "Ritratto di Lionello d'Este"(1444) e gli illusionismi di Cosmè Tura, Francesco del Cossa, Lorenzo Costa per la corte d'Este. E ancora tra i busti del Laurana e di Guido Mazzoni realizzati gli Aragonesi e il "Ritratto di Francesco Gonzaga"di un Mantegna mantovano. Si chiude in bellezza con la "Dama con l'ermellino" di Leonardo arrivata da Cracovia quale simbolo di riconciliazione fra Germania e Polonia, (trafugata dai Nazisti, dopo Norimberga fu restituita alla famiglia polacca Czartoryski). ( Fonte: http://www.italica.rai.it)