
Alcuni gustano la sfoglia croccante e profumata prima di avventurarsi con la forchetta nel ripieno sottostante. Altri praticano un piccolo foro nella crosta, leggermente incurvata sulla sommità, servendosi del piccolo sfiatatoio di calore per pescare i bocconi succulenti. Altri ancora frantumano la cupola dorata, di un bel giallo paglierino, frammentandola e mescolandola all’intingolo prelibato con cui si sposa: a seconda dei casi, bocconi di manzo, di cervo e di lepre cotti nel vino rosso. O nella birra, che nell’ “Isola di smeraldo” significa essenzialmente Guinnes, oppure Murphy’s. Ma a Ovest, sulla costa aspra sferzata dai venti e dalle onde dell’Atlantico, la carne può essere superbamente rimpiazzata da pesce e molluschi. Stesso piatto, modi diversi di cucinarlo. E di gustarlo. Vai a sapere chi sono i puristi, e quali gli eretici della “pie”. Ciascuno se la gode a modo suo.
I segreti della sfoglia
La “Cottage pie”, uno dei pezzi forti della robusta e saporita cucina irlandese, vale da sola un piccolo trattato gastronomico, qualificandosi come elemento ricorrente di un viaggio appetitoso in un Paese dai volti sempre diversi. Ogni contea, e sovente ogni paese della medesima contea, vanta la sua “pie”. E così pure il proprio hamburger, a fronte dei quali quelli industriali appaiono una bestemmia, il proprio stufato, il proprio “gammon” (fette di prosciutto cotto tagliate spesse) o il proprio “bacon and cabbage”, trionfo del cavolo abbinato al re delle tavole anglosassoni. Vere leccornie, variamente guarnite prima di essere servite in porzioni generose nei ristoranti e nei più accessibili pub che marcano l’Irlanda a ogni latitudine: dai centri della Repubblica, disinvolta e ammiccante ai turisti, alle più severe e sobrie contee dell’Ulster, queste ultime progressivamente consapevoli di potenzialità congelate da decenni di guerra civile. Ristoranti e pub, dicevamo, che si riverberano in una rete di alberghi, pensioni e bed&breakfast dove mediamente la pulizia è la regola e la cortesia, se non la cordialità, un “must”. Sono i fondamentali di qualsiasi itinerario decidiate di seguire in questo lembo d’Europa.
Il “giallo” dei formaggi
Se le virtù della “pie” meriterebbero un trattato, il caso dei formaggi varrebbe un’inchiesta. Strana dinamica quella di un Paese che pur possedendo pascoli a volontà, latte freschissimo e prodotti eccellenti - formaggi al pepe, alle erbe, alla birra e persino alla cannella, freschi e stagionati - li ha ridimensionati a prodotti di nicchia o di esportazione affidandosi al dozzinale “Cheddar”, venduto ovunque con la coloritura bianca o arancio. Emblematico il “Formaggio di Cashel” (prende il nome dal luogo di produzione ma con un po’ di fortuna lo si trova anche a Dublino), parente stretto del “Roquefort” francese e dello “Stilton” inglese: se vi imbattete nel suo profumo, approfittatene.
Un itinerario possibile: Dublino
Un primo, memorabile “rendez vous” con la “Cottage pie” vi aspetta a Dublino, cuore pulsante della Repubblica. Per la precisione, sotto le volte della “The Boxty House” domiciliata nel quartiere di Temple Bar, approdo dei “viveurs”, degli eccentrici e purtroppo degli alcolizzati di ogni tempo prima ancora che dei turisti. Si fa in fretta a dire “pie”. Quella in questione si caratterizza per la “cupola” che sormonta lo sformato di carne, composta di patata schiacciata. Ma sui tavoli in legno del locale, ristrutturato di recente, sono di casa anche il “Gaelic boxty, ovvero fette di filetto locale avvolte in una sorta di piadina (”boxty”) molto soffice prodotta con farina di patata, regina indiscussa della cucina irlandese. Chi vuole cimentarsi nella propria cucina può acquistare il preparato. Da non perdere la “Irish sirloin”, una bistecca all’ennesima potenza, e l’appuntamento con le ostriche. Con 30-40 euro a testa vi levate ogni soddisfazione. Compresa quella di un hamburger alto un dito: carne d’agnello, altro protagonista delle tavoli irlandesi, condito con formaggio fuso, aglio e una spolverata di cumino. Eccellente. Aggiungete altri 10 euro (a testa) e chiuderete in gran pompa con un Bushmill invecchiato 16 anni capace di risvegliare i morti.
Sul fronte della ricettività, tra le mille opportunità offerte dalla capitale merita di essere segnalato il “Jury’s Inn Custom House”, un buon 3 stelle affacciato sulla riva del Liffey, 15 minuti a piedi dal centro: camera singola a 99 euro (idem la doppia), colazione esclusa (10 euro per gli adulti). Eleganza di standard internazionale e tutti i servizi del caso (compreso il parcheggio) per un approccio “soft” con la città.
Da Dublino a Monaghan
Quattro le stelle del “The Hillgrove Hotel” di Monaghan (capitale dell’omonima Contea), a una cinquantina di chilometri da Dublino, direzione Nord. Parcheggio privato, 59 euro la singola, 75 la doppia e colazione inclusa a buffet per una soluzione certamente confortevole ma pretenziosa e pacchianotta: versione Disneyland, per intenderci, tarata ad uso di matrimoni, battesimi e comunioni. L’arredamento, nello specifico, lascia a desiderare. In compenso, potrete rifarvi gli occhi e soprattutto il palato all’ “Andy’s Bar”: con 20 euro vi aggiudicherete, tra le altre cose, un’ottima scelta di sidro locale prodotto con mele verdi e rosse e un “cheeskake” memorabile. Il benvenuto sono le deliziose “chips”, patatine speziate offerte dalla casa.
Omagh: l’Ulster in tavola
Omagh, Contea di Tyrone, rappresenta il primo assaggio dell’Ulster. E in fatto di assaggi, da “Sally’s” non c’è che l’imbarazzo della scelta: “steak” di gran classe, “Guinnes pie”, formaggio fritto. Da provare la “Sally’s salad” (insalata di frutta e verdura) e l’ “Honey roasted gammon”. In sintesi, due uova a occhio di bue montate su poderose fette di prosciutto cotto: piatto per stomaci allenati, sicuro, che però non rimpiangerete di avere scelto. Un’ottima sistemazione è rappresentata dal “Silverbirch Hotel”: parcheggio privato, 104 euro la singola, 128 la doppia, colazione inclusa a buffet. L’ “Irish breakfast, gemella della “English” (ma non ditelo o gli irlandesi la prendono male), viene preparata su ordinazione. Piccola nota a margine: al netto del frigo-bar, in camera troverete due bottiglie d’acqua in omaggio. Sembra una banalità ma in Irlanda l’acqua non è merce così comune, trovarsela a portata di mano quando rientrate in albergo è un segno di attenzione apprezzabile.
I profumi di Derry
L’anatra in umido (con cipolla a volontà) e il “Rancho burger”, arricchito con bacon e funghi, sono alcune specialità di “Flaming Jacks” (20-25 euro a testa). Siamo a Derry o Londonderry, capitale dell’omonima Contea: l’unica città d’Irlanda ad avere conservato intatte le mura quattrocentesche, tra le più straziate dai “troubles” che hanno contrapposto intere generazioni di cattolici e protestanti. Quest’anno è Capitale Europea della Cultura. Se è vero che anche la gastronomia è cultura, non perdetevi i “Chicken goujons”, cioè i bocconicini di pollo fritti serviti da “Flaming”. E la cipolla, fritta pure quella, proposta in rondelle croccanti. Più pretenzioso e più modaiolo, ma complessivamente più modesto, il vicino “Quaywest”, riscattato dai bocconcini di maiale in salsa piccante. Del “Ramada Da Vinci’s Hotel” - 10 minuti di macchina dal centro o mezz’ora a piedi, lungo la spettacolare passeggiata sulle rive del Foyle - non si può dire che bene. Eleganza sobria e tutti i servizi del caso: parking privato, 117 euro la singola (idem la doppia), colazione esclusa (7 euro).
Ritorno in Repubblica: Donegal
Donegal - centro di riferimento di una delle regioni dai pesaggi più aspri, e tra le più incoerenti sotto il profilo climatico -, vale una puntata. “Da noi è diverso”, rivendica orgogliosamente il motto della Contea annidata nel Nord-Ovest dell’isola. Di certo non ha pari la colazione che servono alla “Donegal Manor & Cookery House”, compromesso a 4 stelle tra un albergo e un “B&B” di classe a 15 minuti in auto dalla cittadina: gestione famigliare, parcheggio interno, 70 euro la singola, 99 la doppia. Anche così, il telefono in camera è un sogno proibito. Nè è possibile chiamare numeri esteri dalla reception: una stonatura rispetto ai prezzi. Come premettevamo, il pezzo forte è il “breakfast”. Notevole la homelette della casa con uova rigorosamente “bio”, guarnita con formaggio fuso, funghi ed erbe aromatiche: una vera prelibatezza. E’ l’inizio di una piccola orgia gastronomica che tra frutti di bosco e uno spettacolare assortimento di dolci autoprodotti, con ricorso a mandorle e cannella, consente di affrontare qualsiasi giornata. Anche la “Irish breakfast” - con la tradizionale batteria di uova, bacon, sausage, fagioli e sanguinaccio tagliato a rondelle - viene preparata sul momento. Roba da intenditori. Un sicuro approdo nel cuore di Donegal è l’ “Old Castle Bar”, dove carne e pesce gareggiano in freschezza. Riecco la “pie”. Meglio: la “Wild Wicklow Venison Pie”, riproposta con uno sformato di selvaggina, e la “Seafood Pie”, dove bocconi di pesce, gamberi e cozze trovano una superiore armonia sotto la protezione della sfoglia. Chi ha un debole per i dolci resterà spiazzato dal “Chocolate fudge”, trancio di torta al cioccolato innaffiata con cioccolato fuso e accompagnata dal gelato: superlativa.
Da Donegal a Sligo
E poi Sligo, 250 km a Ovest di Dublino, capitale di Contea e ultima tappa di uno dei mille “tour” possibili dell’Irlanda fai da te: un mosaico incontaminato di coste rocciose, scogliere, spiagge di sabbia impalpabile, prati e colline dominate da tumuli preistorici (i “cairn”) che rimandano alla notte dei tempi. Luogo di pessimi ricordi, anche, visto che a metà Ottocento dal suo molo almeno 30 mila disgraziati si imbarcarono verso l’America per sfuggire alla Grande Carestia. Lo “Sligo City Hotel” è una buona base di partenza per scoprire le bellezze della terra celebrata da Yeats: posto auto interno, 99 euro la singola (idem la doppia), colazione esclusa (10 euro). Sul fronte gastronomico, l’offerta dei locali non è all’altezza delle aspettative: piatti onesti, ma nulla di memorabile. E’ il caso di “Fiddler’s Creek”, buono per saziarsi con una “steak” o un hamburger in un ambiente informale (si viaggia sui 20 euro). Non è un caso se dopo avere girato in lungo e in largo la vivace cittadina si finisce per ripiegare sul “Bistrò Bianconi”, punta di diamante del minuscolo “Italian quarter”, dove con 25-30 euro vi imbatterete in una pizza discreta e in un ottimo “Chocolate Fudge”. Il tutto accompagnato da vino italiano e, ca va sans dire, birra. Un onorevole presidio tricolore in una terra che sa offrire di meglio.
Fonte: www.lastampa.it