Non sono in molti a concepire l’Eritrea come meta turistica, e tra questi non rientrano i tour operator italiani. Colpa di una scarsa conoscenza del paese che ha molteplici valenze, anche turistiche. Una posizione ingiustificata nei confronti di una nazione che per oltre mezzo secolo è stata la prima e la più importante colonia italiana e che ancora oggi mantiene molte testimonianze della nostra presenza, ma soprattutto mantiene ricordi della trentennale eroica e sanguinosa guerra di liberazione dall’Etiopia che l’ha resa inaccessibile per lungo tempo, con uno strascico di tensioni di confine ancora perdurante e che solo la presenza di truppe Onu evita di trasformare in un nuovo conflitto.
Un vero peccato perché l’Eritrea, grande un terzo dell’Italia e stato autonomo soltanto dal 1993, ha parecchio da offrire. Si parte da un’estrema varietà geografica, ambientale e climatica, capace di spaziare dall’infuocato deserto di lava e di sale della Dancalia, uno dei luoghi più caldi e inospitali del pianeta, alla fresca eterna primavera degli altopiani sull'acrocoro centrale con le sue caratteristiche montagne piatte, le ambe, dall’arida steppa alle foreste di tipo alpino, dalle calde coste occidentali del Mar Rosso, esuberanti di vita subacquea, fino a montagne alte oltre 2.500 metri. Alla varietà ambientale corrisponde una notevole ricchezza etnografica, con ben nove diverse etnie, ciascuna con propria lingua, religione, costumi e tradizioni.
E che dire degli 8 mila siti archeologici censiti, anche se parecchi ancora da scavare, dove si spazia dalla preistoria alla civiltà axumita ed ai monasteri copti con i loro tesori nascosti tra le montagne. Due apprezzabili perle sono poi costituite dalle principali città: la capitale Asmara, elegante e tranquilla fondata nel 1889 dagli italiani sull'altipiano a 2.300 m, che conserva nell’architettura, nella toponomastica e nelle abitudini una chiara impronta coloniale italiana, tanto da sembrare il set di un film di Fellini, e la torrida città portuale di Massawa, dalla netta impronta arabo-moresca, i cui bei monumenti arabi, turchi e italiani sono stati purtroppo sistematicamente distrutti dai bombardamenti etiopi. Straordinaria per il panorama e mozzafiato lungo il percorso della strada che collega queste due città, capace di superare in 115 chilometri un dislivello di 2.300 metri con arditissime soluzioni di ingegneria. Comunque il vero gioiello naturalistico di questa nazione del Corno d’Africa è costituito dall’arcipelago delle Dahlak, oltre 200 tra isole e isolette al largo di Massawa che sembrano un tratto di deserto affiorante tra le acque del Mar Rosso, il mare con il più ricco ecosistema della terra.
La maggior parte sono soltanto minuscoli banchi corallini fossili aridi e spogli, alti pochi metri e inferiori al chilometro quadrato di superficie, senza nome e con belle spiagge coralline deserte, luogo ideale di nidificazione per milioni di uccelli. Solo quattro sono abitate da miseri villaggi di pescatori e solo qualcuna presenta una struttura vulcanica, con modesti rilievi. L’isola maggiore è Dahlak Kebir, grande cinque volte l’Elba, e ospita l’unico albergo; fu abitata da sempre da popolazioni arabe per la presenza di acqua, raccolta in 365 cisterne; offre un po' di vegetazione, capre e dromedari al pascolo, diversi villaggi, un cimitero storico musulmano e i resti di un penitenziario italiano; fu base aerea e navale etiope e russa durante la guerra etiope-eritrea. La povertà ambientale delle isole contrasta con la straordinaria ricchezza marina, formata da reef corallini e scogliere di madrepore poco profondi e intatti, capaci di ospitare tremila specie viventi, 350 di coralli e oltre mille pesci diversi coloratissimi, un quinto dei quali endemici, da delfini, razze e mante a squali e ai rarissimi dugonghi, le sirene del mito, a formare il più incredibile degli acquari naturali, poco frequentato per la guerra prima e la mancanza di strutture turistiche ora. Un vero paradiso sub, tuttavia destinato a durare come tale ancora per poco. ( Fonte: www.gazzettadiparma.it)
" Isole Dahlak, acquario senza fine" di Edoardo Piovanelli
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