Avreste dovuto vedere la sua faccia. Quando lo speaker, con entusiasmo da telecronista brasiliano, ha mitragliato il nome del vincitore lui, Vikram Singh, ha alzato la spada e inalberato quella smorfia trionfante mentre anche Visweswaran, il suo compagno, in contemporanea, con tempismo perfetto, pareva dichiarare:
«E' inutile, siamo i più forti». E, per davvero, è stato un lampo di mirabile simbiosi di una coppia vincente. Una coppia speciale e unica, come Batman e Robin, come Holmes e Watson. Come Vikram e Visweswaran appunto. Se non fosse che il primo ha i baffoni, il turbante che splende ed è un uomo. Mentre il secondo, per quanto radioso, è, e resta, un cammello. Ma qui è Jaisalmer, Rajastan profondo, cuore di un’India che già sbircia l’odiatissimo Pakistan, nel bel mezzo di un deserto assolutamente senza garbo che accende il microonde nel cielo all’improvviso, un giorno dormi col panno e quello dopo arrostisci fin oltre il tramonto, e le coppie possono essere anche queste. E alcune vanno aventi da anni, e, beati loro, sono storie di successo.
Come è appunto quella di Vikram e Visweswaran che quest’anno, per la sesta volta, sono stati i vincitori di una delle sfide più apprezzate dalla gente di qui, nel tradizionale «Festival del Deserto»: la gara di decorazione dei cammelli.
Una stravaganza? Per nulla. Almeno vista da quaggiù. Se a Venezia sfila in Canal Grande la Bissona, ed è un trionfo di legni e polene, e se a Milwakee sciamano gli Harleysti, ed è tutto uno sfavillare di cromature e selle borchiate, qui nel deserto del'India Occidentale, sotto i novantanove bastioni della rocca di Jaisalmer sono i cammelli il mezzo di trasporto (almeno per coloro che amano la tradizione). E chi si pavoneggia sulla Miss della specie gongola peggio di un ferrarista a Maranello. Soprattutto in questi tre giorni di feste e giochi e concerti e musiche, tre giorni per i turisti (non troppi) e i locali (molti di più) che con un tifo da finale di Champions seguono le gare. Che dal mattino alla sera sollevano cavalloni di polvere ocra e «ole» di entusiasmo sanamente paesano. Che Jaisalmer, nonostante il nome da profumo maliardo, è un paese. Fino a pochi anni fa, almeno fino all’avvento delle Tata per tutti, perso nel nulla.
Nemmeno 60mila anime a 150 km scarsi da uno dei confini più caldi del globo, sorvolato notte e giorno da frecce con motore a getto che vigilano una piana che non si capisce a chi possa fare gola. Anche se per secoli qui si è combattuto: prima i Moghul nel XIII, poi altre scaramucce lungo la trafficata via delle carovane tra India e Asia centrale e infine, negli anni '60, con il Pakistan con cui ora, almeno in apparenza, ci si limita a guardarsi facendo la faccia cattiva. Meglio: mentre i politici nelle capitali si guardano storto qui, a Jaisalmer, di ghigne ostili ne vedi poche. Anzi, praticamente nessuna. Per i tre giorni del festival poi è come la sagra. Così, quando nel bel mezzo della disfida scatta una strapaesana gara di tiro alla fune tra indiani e stranieri, i locali, prevedibilmente sconfitti da nerboruti scandinavi e australiani ipervitaminizzati, non solo non se la prendono. Anzi si mettono in posa per una bella foto ricordo. Una delle tante che riempiono di clic il vento del deserto anche perchè una panoramica dall’alto del forte è una tentazione a cui non si può resistere. Soprattutto se, pagando parecchi dollari per gli standard locali ma pochissimi per i nostri inflazionati portafogli, si è avuta la ventura di dormire in una delle stanze che si affacciano dai bastioni. E sentirsi un po' maragià viene naturale.
Intanto il maragià, quello vero, siede altero nella tribuna d’onore e premia i vincitori delle gare. C'è la lotta, teneramente combattuta da giganti locali che paragonati con i campioni del wrestling paiono signorine ammalate di anoressia, e c'è il polo da giocare - è ovvio no? - in sella ai cammelli. Ma ci sono anche gare che solleticano il sorriso come la spassosa sfida dei baffi più lunghi o il match per il più veloce arrotolatore di turbanti. Mentre il clou dell’elezione di «Mister Desert» strappa applausi da record mondiale. No, non ridete. «Mister Desert» qui è una piccola, grande celebrità. Issato con mustacchio al vento e pancione in bella vista su una jeep viaggerà per i prossimi giorni in una tournée che tocca i paesi del Rajastan occidentale dove i turisti si perdono tra labirinti di palazzi e scorci da batticuore mentre i locali plaudono festosi il loro campione. Ed è un fare festa e strepitare che si calma solo la sera quando è bello salire al forte di Jaisalmer e scegliere un ristorante con i tavoli immersi nella notte. Il vento del deserto sa di caldo e di oriente, il pollo tandoori profuma di spezie, il naan, il pane cotto nei forni di terracotta, è caldo e fragrante. Se non siete felici qui è solo colpa vostra.
Siamo in India però, non lo dimenticate. Il silenzio, come la quiete, dura un istante. Con il sole che sorge, i vicoli della città che si inerpica verso il forte e le strade squadrate e polverose della parte nuova torneranno a riempirsi di gente e mucche, di odori e clacson strombazzati senza sosta. Come intima, peraltro, la scritta che campeggia sul cassone di ogni camion: «suonate per favore». Un concerto bitonale per farsi sentire in un mondo troppo affollato che a Jaisalmer, per quanto invadente, è sempre lieve rispetto alle cacofonie di Delhi o di Jaipur. Anche perché, tutt'intorno per ore d’auto, ci sono pianure di sabbia e polvere con arzille gazzelle che ruminano non si sa cosa e frettolose manguste che attraversano la strada.
In città, intanto, nel campo sportivo col fondo di spiaggia, il festival prosegue ed è festa per tutti: anche per gli Hijras, i travestiti indiani che ballano coperti di sari in technicolor, e che tenuti in disparte nella vita vera, si sfogano nei giorni di allegria come questi. E solo qualche sprovveduto europeo non noterà che quelle bellezze velate con gli occhi bistrati hanno qualcosa di francamente un po' strano. Poi, è l’ultimo giorno, e il festival deve finire. C'è tempo per la corsa dei cammelli (si, ancora loro) nel deserto e per la pioggia dei fuochi d’artificio che, col botto, rimandano tutti a casa. Domani sarà ancora deserto, domani la Tata invasa di musica di Bollywood si scapiccolerà tra le buche verso est. Per stasera è ancora il cielo di Jaisalmer e una altra cena nei piccoli locali appollaiati nelle crepe del forte. Di notte, i cammelli dormono nel deserto.
E allora tanto vale godersi le stelle.
Fonte: www.gazzettadiparma.it
" Jaisalmer, nel deserto come i maragià " di Luca Pelagatti
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