“In cima, l’isola è un tuffo di verde che inarca al di sopra dell’acqua una fitta vegetazione di lauri, lecci, platani, melograni, alberi esotici, glicini, cespugli fioriti d’azalee. Si va tra il fresco e i profumi. (…) L’isola deserta pare che aspetti un principe e la sua fata, lì in cerca di un rifugio d’amore.” Tra le dimore Borromee sul Lago Maggiore Hippolyte Taine preferiva la Madre, forse anche perché fu l’ultima suggestiva tappa del suo viaggio in Italia. Di certo, però, quell’atmosfera fatata che il filosofo attribuiva all’isola si respira anche in altri palazzi, persino sull’altra sponda del lago.
Prendiamo la Rocca di Angera: dopo essere stata per secoli fulcro del catenaccio militare a difesa del Verbano, oggi di quel ruolo conserva solo l’invidiabile posizione panoramica e un filare di mura merlate nel verde, mentre è diventata un regno di bambole e giardini. Nelle sale al pianterreno Bona Borromeo Arese infatti creò nel 1988 un Museo della Bambola e del Giocattolo, oggi fra i più importanti del genere in Europa, mentre il giardino del palazzo da cinque anni ha ritrovato il suo aspetto medievale. Così, mentre all’interno sfilano bambole di legno, cera, cartapesta, porcellana, biscuit, che attraversano epoche e paesi gettando luce su abitudini quotidiane e modelli educativi dell’alta società, all’esterno si respirano gli effluvi del simbolismo medievale passeggiando tra il boschetto, il giardino delle erbe officinali e tintorie, il giardino dei principi e il verziere. Dal 25 maggio al 3 novembre il museo ospita una mostra dedicata alla Case di Bambola: modellini creati tra metà Ottocento e inizio Novecento davvero sorprendenti nella loro accuratezza e verosimiglianza, perfino in minuscoli dettagli come le decorazioni delle carte da parati e gli accessori da cucina. Prima di lasciare la Rocca, salite alla Sala della Giustizia, dove le gesta di Ottone Visconti, la cui famiglia era proprietaria di Angera prima dei Borromeo, sono raccontate in un bellissimo ciclo di affreschi trecenteschi.
Per raggiungere le isole presso la sponda piemontese il modo migliore è attraversare il lago, magari al tramonto, e godersi la luce calda che avvolge l’Eremo di Santa Caterina di Sasso Ballaro, intagliato in uno sperone di roccia tra cielo e acqua. Mentre le mura dell’eremo già non si distinguono più dalla roccia, sull’altro versante prendono forma le terrazze dell’Isola Bella. Ad acquistarla fu Carlo III Borromeo, ma fu suo figlio Vitaliano VI ad amarla tanto da definirla “sua dama” e a darle la sua fisionomia attuale: sontuosa reggia barocca, scenario ideale per feste e spettacoli, circondata dalla quintessenza del giardino all’italiana. Se purtroppo le terrazze superiori dei giardini non sono ancora visitabili, nonostante i grandi sforzi per rimediare ai danni del tornado che si abbatté sul lago l’agosto scorso, il grande albero di Canfora del 1819 e i pavoni bianchi che si fanno ammirare ai piedi dell’Anfiteatro sono invece in splendida forma, così come i filari di melograni e limoni. E anche le facciate del palazzo rivolte verso la raccolta, suggestiva Isola dei Pescatori hanno ritrovato il loro aspetto unitario, grazie a un restauro conservativo, terminato da poco, che ha recuperato i colori ottocenteschi.
All’interno si susseguono grandi sale, quasi rimpicciolite dalla ricchezza delle collezioni pittoriche che ne affollano le pareti, mentre la cupola del Salone delle Feste smentisce in un sol colpo d’occhio il motto della casata, humilitas. La Galleria degli Arazzi è impressionante anche per i profani: dopo due anni di restauro in Belgio, sette (sei esposti) capolavori rinascimentali di enormi proporzioni - alti oltre 4 metri e larghi fino a 6 e mezzo- e di preziosissima fattura sono tornati all’originario splendore. Composti da una trama di lana e seta con fili d’oro e argento, per una densità di 9 fili per centimetro, sono opera di una bottega di Bruxelles e probabilmente furono di proprietà del Cardinale Mazzarino. Non vi è traccia dell’uomo in questi panni, ma i paesaggi esotici popolati di belve e animali mitologici sono complesse allegorie di peccato e redenzione, in perfetto clima da Controriforma.
Sulle orme di Taine, l’ultima tappa del nostro itinerario lacustre sarà l’Isola Madre. Più austera dell’Isola Bella, è stata utilizzata dai Borromeo soprattutto come dimora privata e vanta un bellissimo giardino all’inglese che ospita piante esotiche e rare, tra cui il famoso cipresso dell’Himalaya. Oggi, dopo trent’anni di tentativi, il parco d’acclimatazione vanta anche la prima collezione di protee a cielo aperto d’Italia. Arbusti dalla meravigliosa fioritura multiforme, originari del Sudafrica, le protee hanno trovato nell’Isola Madre un habitat accogliente anche alle nostre latitudini, così inospitali per loro. Forse per la prima volta il fascino di un luogo ha avuto la meglio sulle leggi della botanica.
Fonte: www.lastampa.it