Tra Rinascimento e rivoluzione industriale, il fiume offre paesaggi di fascino e una cucina ricca di sorprese
Francesco Moscatelli
L’Adda è il più lombardo fra i fiumi della Lombardia, e non soltanto perché fa da sfondo alle vicende narrate dal Manzoni nei Promessi Sposi. Nasce in Valtellina, si tuffa nel lago di Como e poi riprende la sua corsa fino al Po, attraversando la terra di mezzo fra le province di Milano, Lecco e Bergamo. Per secoli ha permesso un collegamento stabile fra il capoluogo e le regioni circostanti lungo l’asse Nord-Sud, segnando il confine naturale fra il Ducato di Milano e la Repubblica di Venezia. La storia di questo fiume è una storia di scambi e contaminazioni, che si ritrova anche nella sua tradizione gastronomica. Sulle tavole convivono i casoncelli bergamaschi con il risotto monzese alla «luganega» (zafferano e salsiccia), i pesci d’acqua dolce del lago di Como (dal lavarello in salsa verde ai filetti di persico fritti con burro e salvia serviti su un letto di riso bollito saltato in padella) e i formaggi delle valli prealpine (gli appassionati del genere non possono perdersi i furmagitt vaccini di Montevecchia, sia quelli freschi serviti con olio e prezzemolo fresco sia quelli stagionati con olio e pepe in polvere). Fra le prelibatezze «vintage» vanno ricordati anche la mortadella di fegato di maiale, oggi riscoperta da molte trattorie della zona, e i «misultin» (agoni salati ed essiccati al sole) con la polenta. Prodotti poveri che raccontano una terra di contadini e pescatori d’acqua dolce rimasta immutata per secoli e cambiata radicalmente in pochi decenni. I territori che circondano l’Adda conservano gelosamente questa storia: i fasti delle corti rinascimentali, il cattolicesimo popolare dei santuari, i mulini, le filande della rivoluzione industriale, la produzione di energia elettrica e le sfide ingegneristiche del primo Novecento.
Oggi, grazie alla capillare rete di piste ciclabili che si snodano dai laghetti di Garlate e Olginate, appena fuori Lecco, fino al confine con il Lodigiano, nelle giornate primaverili ed estive i suoi argini si trasformano in una palestra a cielo aperto per i cicloturisti. È possibile arrivarci in sella anche da Milano, seguendo il Naviglio della Martesana. Ma il punto di partenza migliore per chi vuole esplorarlo è senz’altro il traghetto che collega Imbersago a Villa d’Adda, ultimo esemplare ancora funzionante delle tradizionali imbarcazioni senza motore che collegavano le due sponde del fiume: basta che il manovratore dia una spinta al cavo d’acciaio teso fra i due argini e il traghetto, una piattaforma di 60 metri quadrati che riesce a trasportare 100 persone e cinque automobili, comincia a fluttuare spinto dalle correnti. Secondo la leggenda fu progettato da Leonardo da Vinci in persona, che quando prestava servizio presso la corte di Ludovico il Moro era spesso ospite del nobile Girolamo Melzi a Vaprio d’Adda per studiare il sistema di chiuse e canali con cui imbrigliare i corsi d’acqua della pianura padana. Oggi è gestito dal signor Giuseppe Crevenna, ultimo di una lunga serie di Caronti lombardi che nel corso del Novecento hanno accompagnato lavoratori pendolari, turisti della domenica e spesso anche Giovanni XXIII, il Papa Buono, che fin da bambino lo utilizzava per raggiungere il vicino santuario della Madonna del Bosco. Il viaggio dura pochi minuti e probabilmente è il modo migliore per dimenticarsi di essere vicini alla tangenziale Est di Milano e per provare a immaginarsi come dovevano apparire questi scorci negli anni in cui li frequentava il Genio del Rinascimento. Costeggiando il fiume in direzione Sud, fra Paderno e Cornate d’Adda, è possibile ammirare la Rocchetta sforzesca che vigilava sul confine con lo stato veneziano e le strette gole che Leonardo da Vinci scelse come sfondo per la sua Vergine delle Rocce.
Basta percorrere pochi chilometri per fare un salto in piena Rivoluzione industriale. Il primo punto da non perdere è il ponte San Michele, o di Calusco, un ponte ferroviario-stradale lungo 266 metri realizzato nei decenni immediatamente successivi all’Unità d’Italia su progetto di Jules Röthlisberger per unire fra loro due tratti ferroviari privati e aiutare la nascente industria tessile. Ed è proprio ad uno dei primi imprenditori tessili, Cristoforo Benigno Crespi, che si devono gli altri due progetti avveniristici che oggi raccontano la repentina trasformazione di questa terra: la centrale idroelettrica dell’Enel di Trezzo e il villaggio operaio di Crespi d’Adda. La centrale Taccani, ancora oggi in funzione (ha una potenza di 10,5 MW), fu disegnata dall’architetto Gaetano Moretti in stile liberty-modernista e ultimata nel 1906 per fornire di energia elettrica il vicino cotonificio Crespi, uno stabilimento che dava lavoro a migliaia di persone. Accanto alla fabbrica sorge il villaggio voluto dallo stesso Cristoforo Benigno Crespi nel 1878 per ospitare le famiglie dei suoi dipendenti secondo il modello «paternalista» inglese. Oggi il villaggio è patrimonio dell’umanità dell’Unesco e farci una passeggiata, magari in un giorno feriale in cui ci sono pochi visitatori, è come entrare fra le pagine di Charles Dickens. Non manca nulla: ci sono le casette degli operai con l’orto, le ville dei dirigenti in stile neo-romantico, la scuola, il teatro, la caserma dei pompieri, l’ospedale e il cimitero.
Fonte: www.lastampa.it