Nadia e Antonio si conobbero sul treno. Salivano entrambi alla stazione di Piadena per andare al liceo a Cremona. Lei di origini vicentine, più riservata. Lui più estroverso, abituato sin da ragazzo alla clientela della trattoria di famiglia a Runate di Canneto sull’Oglio. Si sposarono quando avevano poco più di venti anni, studiarono all’Università. Poi decisero che la cucina «casalinga», più che le scienze politiche, erano la strada maestra da seguire.
Prima italiana ad ottenere le tre stelle Michelin, appena nominata migliore chef donna del mondo dai giudici del prestigiosissimo concorso Veuve Clicquot World’s Best Female Chef, Nadia Santini esalta nel suo celebrato ristorante Dal Pescatore la bontà e genuinità di una terra, il Mantovano, in cui i sapori sono custoditi come tesori dalle «rasdore». Le casalinghe virgiliane sono fiere e gelose dei loro segreti culinari, come del resto i Gonzaga, contadini diventati marchesi e duchi, lo erano del loro patrimonio artistico, tanto da dilapidare il budget destinato alle spese militari necessarie per proteggere i confini dagli scomodi vicini e dalle orde di famelici lanzichenecchi, per arricchire la propria collezione di capolavori. Furono committenti voraci di geni quali Giulio Romano, che «firmò» Palazzo Te con quella Sala dei Giganti in cui Zeus pare scagliare dal vivo i tuoni contro quelle ciclopiche, orride creature. E Andrea Mantegna che abitava in una casa dal cortile a forma di cerchio incastonato in un quadrato e viceversa: la Camera degli sposi di Palazzo Ducale, il suo capolavoro assoluto, dove gli angioletti hanno ali di farfalla, è purtroppo ancora chiusa per i danni provocati dal terremoto del maggio scorso. Invece sono state riaperte la Sala dello Zodiaco dal soffitto blu e la Sala dei Papi.
Il sisma ha «violato» lo skyline della Manhattan del Medioevo, facendo crollare una parte della cupola di Santa Barbara, la chiesa «privata» dei Gonzaga, ancora imbragata. Ma la città che diede i natali a Virgilio - «Mantua me genuit», così egli si presenta a Dante offrendogli i servigi di guida nella Divina Commedia e quegli stessi versi ogni bambino mantovano impara prestissimo a declamare a chiunque gli chieda la sua provenienza -, si sta piano piano rialzando. Mantova è infatti orgogliosa della sua arte (la reggia gonzaghesca è seconda per superficie, in Europa, solo alla Hofburg di Vienna). Ed è fiera di possedere un paesaggio «teatrale», famoso per i suoi tramonti impressionisti, le valli solcate dal fiume Mincio e dal Po, punteggiate di canneti e pioppeti, le colline moreniche ondulate come una Toscana in miniatura che incorniciano il basso Lago di Garda. E soprattutto si vanta di poter «imbandire» un menù gastronomico davvero godereccio.
Il trono spetta ai tortelli di zucca, col loro impasto di amaretto e mostarda, dolci e salati, l’alfa e l’omega della cucina. Che sfiziosi sono anche il salame all’aglio, il pesce gatto, le salamelle di maiale, quel risotto alla pilota - molto «asciutto», cotto in grossi paioli di rame, insieme alla salamella, o ai pesciolini fritti chiamati i «boss» - che prende il nome dagli operai addetti alla pulitura dei chicchi. Per provarlo, bisogna scegliere le trattorie affacciate sul Castello Scaligero di Castel d’Ario, guarda caso il paese natale di uno che al volante, automobile o motocicletta che fosse, sterrato o circuito asfaltato, ci sapeva proprio fare: Tazio Nuvolari, ovvero la massima gloria sportiva locale insieme al ciclista eroico Learco Guerra, la Locomotiva Umana, e a Roberto «Bonimba» Boninsegna, arcigno goleador di Inter e Juventus, nonché del Potenza, che segnò il gol del provvisorio pareggio dell’Italia nella finale con il Brasile di Pelè a Mexico 70.
Il luccio in salsa e le rane fritte sono invece sempre più rari da trovare ma che prelibatezza! E i dolci? La contaminazione tra i tanti popoli passati in riva al Mincio ha lasciato in dote sorprese quali la «torta greca» all’amaretto, e la «torta delle rose», che somiglia a un bouquet del più romantico dei fiori. Del resto fu inventata appositamente per il banchetto nuziale di Francesco II Gonzaga e Isabella d’Este. È stata donata dai Putsher, pasticceri svizzeri emigrati a Mantova nel ’700, invece, la torta denominata appunto Elvezia, composta da più dischi di pasta sovrapposti, ripieni di creme di burro e zabaione.
Dopo questa abbondante abbuffata, ci si mette in sella, e dal Castello di San Giorgio, «costola» più antica di Palazzo Ducale, si pedala intorno ai tre laghi di Mantova, per raggiungere il borgo di Grazie e ammirare le statue di cera e legno dentro le nicchie. E si segue il Mincio sino alla «bersagliera» Goito, dove nacque Sordello, il più provenzale dei trovatori italiani. Una piccola sosta all’ombra della vecchissima quercia di Sacca alta come un palazzo di dieci piani e al cospetto del mulino cinquecentesco di Massimbona ed ecco poi stagliarsi all’orizzonte il pittoresco Borghetto dove il Mincio «saltella» facendo il solletico al Ponte Visconteo.
Fonte: www.lastampa.it