Una metropoli dell’Europa Orientale disseminata di edifici neoclassici, domatori di strada di rettili e rapaci, monumenti eretti a personaggi di sangue latino? Sì, se il suo passato è più affine al resto del globo terracqueo che alla nazione a cui appartiene e con la quale non condivide nemmeno la lingua, per quanto russo e ucraino siano dopotutto parenti stretti. Fra i principali porti sul Mar Nero e maggiore abitato dell’Ucraina Meridionale, Odessa è un angolo di mondo che solo casualmente sorge su un territorio di tradizione marxista. Il privilegiato status di zona franca le fu revocato oltre un secolo e mezzo fa, eppure la macedonia di etnie che ogni censimento registra, dove una maggioranza autoctona convive con l’influente minoranza russa ma anche con gruppi di armeni, azeri, bulgari, polacchi, tedeschi, turchi e perfino italiani, mantiene intatti i connotati di città mercantile quindi aperta, libera, trasgressiva. Dai parchi giochi per bambini ai volti bronzei delle statue, dall’allestimento dei locali pubblici della mondana Deribasovskaya, via pedonale battezzata come l’ammiraglio di origine spagnola José de Ribas, agli inquilini dello zoo comunale, tutto sa di esotico, e solo all’odore di pesce diffuso dall’antico Privoz Market ci si abitua rapidamente. Rispecchiando in scala minore il destino di San Pietroburgo, anche Odessa vide assegnarsi il compito di vetrina imperiale il più possibile distante dagli standard della Russia rurale e analfabeta. Madrina della moderna veste urbana, sino ad allora custodita dai turchi e ancor prima colonia greca, protettorato lituano e possedimento tartaro, fu ai primi dell’Ottocento la zarina Caterina II, che in nome della sua passione per l’Occidente affidò il progetto e il governo cittadino a un diplomatico francese in esilio: Armand Emmanuel de Vignerot du Plessis, duca di Richelieu. Ecco perché avventurarsi nel geometrico e lastricato reticolato odessita ricorda un musical parigino, un walzer viennese, tutto insomma fuorché il grigiore che l’immaginario collettivo attribuisce a quelle stesse longitudini. Un trafficato scalo mercantile che abbina la scurrilità marinaresca alla finezza della ballerina, del quale il Teatro dell’Opera è incantevole dimora, e accosta l’atmosfera aristocratica dei propri marciapiedi alberati con la miseria del più caotico mercato europeo della contraffazione, 70 ettari visitati quotidianamente da 200.000 persone: si chiama «Settimo chilometro», per raggiungerlo dalla costa si percorrono giusto 7 km. Odessa è contraddizione sociale e almeno in questo somiglia alle altre 11 Città eroine sparse per l’ex Blocco sovietico: già, anche qui il fuoco della guerra attecchì in un baleno, causando vittime (25.000) e deportazioni (35.000) soprattutto presso la comunità ebraica, sino all’epoca assai folta (200.000). La vocazione marittima che il capoluogo dell’omonimo oblast conservò anche nei tragici anni Quaranta raggiunge nel Memoriale al Marinaio Ignoto, un obelisco immerso nel verde parco intitolato al poeta Taras Schevchenko, livelli di pathos estremo, il moderno terminal passeggeri è invece un simbolo dell’ospitalità che il luogo rivolge ai forestieri. Se il tema è l’accoglienza non esiste tuttavia immagine più efficace della celebre scalinata Potiomkin, dalla corazzata che diede il nome a uno dei primi kolossal della storia del cinema e che sui suoi 192 gradini fronte mare vive la scena più drammatica: la corazzata Potiomkin raffigurata da Sergej Ejzenštejn nel 1925 ha mollato gli ormeggi ormai da un pezzo ma la scalinata, passerella regale tra il porto e il cuore della città, non ha smarrito il proprio charme architettonico e ideologico. Una località che ha fondato sui trasporti la propria fortuna, che per prima nell’Impero si attrezzò di un tram a vapore (1881) e sempre prima vide circolare un’automobile (1891), non poteva che regalarsi una stazione ferroviaria capolavoro. A Odessa, cellula di «Estremo» Oriente a due ore di aereo, si sbarca in carrozza e si salpa per terre lontane. Escursione nelle «Catacombe»: per una città in superficie che strega con le sue innumerevoli attrazioni esiste un’Odessa sotterranea altrettanto vasta e misteriosa. Numerosi, lungo la Deribasovskaya o di fronte alla Stazione Centrale, banchetti e strilloni che per 50 grivnie (5 euro scarsi) invitano a un’avventura nelle cosiddette «Catacombe». 2.500 km di veri e propri tunnel fanno delle cavità segrete di Odessa probabilmente la più estesa rete al mondo. La ragione del fenomeno risiede nell’insolita ricchezza di calcare contenuta dal sottosuolo, che sin dal '600, ancora in epoca di dominio Ottomano, fu sistematicamente scavato e utilizzato nell’edilizia. Durante la II Guerra Mondiale, in particolare sotto la temporanea amministrazione rumena, le Catacombe divennero spericolato rifugio di un gruppo di partigiani eroicamente ostinati a proteggere la cittadinanza e a sabotare i programmi nemici. Le più suggestive testimonianze della partigianeria odessita sono conservate nel museo di Nerubais'ke, una delle poche vie di accesso al sistema situata a pochi passi dal nucleo urbano. Sconsigliabili le escursioni individuali.
( Fonte: www.gazzettadiparma.it)