National Geographic l’ha classificata come quarta isola più bella del mondo e Skye non delude anche chi arriva con grandi aspettative, visto il biglietto da visita. Le montagne, considerate fra le più scenografiche della Gran Bretagna, sono ancora coperte di neve fino a tarda primavera, fiordi profondi si insinuano nelle coste frastagliate. Poi cascate, laghi, brughiere e anche il vento e le inevitabili brume che non possono mancare all’estremo nord-ovest d’Europa. Skye fa parte dell’arcipelago delle Ebridi interne, al largo delle Highland scozzesi: terra di vichinghi prima, di clan bellicosi poi, di rivolte giacobite e di forti tradizioni gaeliche. An t-Eilean Sgithanach, l’isola con le ali, è il nome di Skye nell’antica lingua che si stima venga ancora parlata dal 30 per cento della popolazione.
A Skye si arriva da Inverness dopo una lunga traversata delle Highland. Prima il Loch Ness con il castello di Urquhart che si specchia nelle acque profonde del lago, poi la strada si infila fra le Glen Shiel Hills, montagne selvagge che sono una meta frequentata da trekker e alpinisti. Una volta ridiscesi verso la facciata atlantica delle Highland e prima di imboccare il ponte che dal 1995 collega la terraferma scozzese con l’isola di Skye, si incontra un altro maniero medievale diventato simbolo della Scozia. Il castello di Eilean Donan è stato lo sfondo perfetto per diversi film, fra i quali naturalmente Highlander, l’ultimo immortale, celebrazione dell’indomito spirito scottish.
Quando si arriva sull’isola, lo sguardo corre immediatamente alle Cuillin Hills, la catena montuosa che domina la parte meridionale di Skye. Più che colline si tratta di vere e proprie montagne, anche se l’altezza massima non raggiunge i mille metri. Quello che fa la differenza e affascina tanti camminatori e l’assoluta wilderness dei luoghi. Si può vagabondare per ore senza incontrare anima viva (al massimo ci si imbatte in un gregge di pecore), senza avere punti di ricovero e, visto che a queste latitudini il tempo cambia repentinamente, la prudenza è d’obbligo.
Più tranquillo il turismo che spinge ogni anno migliaia di visitatori a Carbost, un piccolo paesino al fondo del Loch Harport, un fiordo dalle acque cristalline, dove si trova la distilleria Talisker, uno dei luoghi di culto del whisky scozzese. Furono i fratelli Hugh e Kenneth MacAskill, arrivati sull’isola di Skye nel 1825 per installarvi un allevamento di pecore, a fondare cinque anni più tardi la distilleria. Come tutte le Ebridi, quest’area era stata dominio dei Vichinghi per molti secoli e anche il nome deriva dall’antico norvegese: Thalas Gair che significa “la roccia inclinata”. Un luogo ricco di acqua e ancora oggi sono quattordici le fonti sotterranee che sgorgano dalla Cnoc nan Speirag, la Collina del falco, che sovrasta la distilleria e ne alimenta la produzione. “La disponibilità di acqua è fondamentale per una distilleria – spiega Mark Lochhead direttore dello stabilimento – e ancora oggi quando viene a mancare si deve bloccare la lavorazione.”
Arrivati alla Talisker Distillery, è d’obbligo una sosta al nuovo centro visitatori, dov’è raccontata la storia del luogo e di uno dei single malt più famosi delle Highland. Fra quelli che apprezzarono fin da subito il whisky dell’isola di Skye, ci fu Robert Louis Stevenson che lo menzionò nel poema The Scotsman’s return from abroad. La visita prosegue davanti a una galleria vetrata che permette di gettare un’occhiata ai warehouses, i magazzini, dove il whisky matura per anni nelle botti che hanno contenuto in precedenza sherry o bourbon.
Nell’aria si colgono sentori alcolici che aggiungono fascino alla scoperta di queste vecchie distillerie. Non è un segreto che l’angel’s share, la percentuale degli angeli, sia la parte di distillato che evapora nell’aria, non meno del 2-3 per cento ogni anno. L’esperienza olfattiva e visiva è una componente importante quando si intraprende un tour all’interno di una distilleria: la sala della macerazione, quella della fermentazione e infine il grande ambiente con i giganteschi alambicchi di rame sono i punti dove vengono rivelati i segreti del whisky scozzese. Di alambicchi, la Talisker ne utilizza cinque: due per la prima distillazione, tre per la seconda. Ma per diventare scotch whisky, il liquido incolore che esce dalla distillazione deve maturare per almeno tre anni nelle botti in territorio scozzese. La produzione di Talisker propone invecchiamenti ben più complessi che vanno dai 10, ai 18, ai 25 anni di affinamento in botti, oltre a particolari edizioni speciali.
Le novità di quest’anno sono il Talisker Port Ruighe, un omaggio ai mercanti scozzesi che raggiungevano la città portoghese di Porto dopo pericolosi viaggi in mare aperto e il Talisker Storm che esalta le tipiche note affumicate e salmastre del marchio. D’altra parte sulla facciata della distilleria si legge a grandi caratteri la scritta “Made by the sea”. Quel mare burrascoso che circonda l’isola e che tanta influenza ha nella maturazione del whisky, vuoi perché i magazzini di invecchiamento si trovano praticamente sulla riva del fiordo, vuoi per l’azione mitigatrice del clima. Non ci sono mai grandi sbalzi di temperatura nel corso delle stagioni: la condizione ideale per produrre un grande single malt.
Dove dormire: Cuillin Hills Hotel, www.cuillinhills-hotel-skye.co.uk A Portree, la piccola capitale dell’isola di Skye. In bella posizione su una collina con vista sulle Cuillin Hills e sulla pittoresca baia con le case colorate.
Dove mangiare: Harbour View Seafood Restaurant, 7 Bosville Terrace, Portree, www.harbourviewskye.co.uk In quello che un tempo era un piccolo cottage di pescatori, Clare e Richard propongono una cucina tradizionale a base di pescato. Ottime zuppe di pesce, cozze, ostriche e salmone cucinato in vari modi. Da provare come dessert il cranachan, un dolce fatto con una crema al Drambuie, un liquore tipico dell’isola a base di whisky, miele, erbe e spezie. Il nome deriva dal gaelico e significa “la bevanda che soddisfa” e fu coniato nel 1893 a Broadford, una località dell’isola.
Fonte: www.lastampa.it
Autore: Dario Bragaglia