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CLUB ANDARE IN GIRO

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Un moderno esploratore: Gabriele Genini

Pubblicato da oleg su 9 Dicembre 2011, 22:32pm

Tags: #I Nostri Speciali

http://www.swissinfo.ch/media/cms/images/null/2011/06/ggenini02-30468560.jpgGabriele Genini ha una borsa a tracolla, un taccuino e una matita. Assomiglia a un viaggiatore d'altri tempi. È un poliedrico artista ticinese di trent'anni, attento e curioso osservatore della vita. 

Gabriele Genini ha un piccolo atelier a Firenze. È un locale minuscolo, pulito, ordinato, preciso. È uno spazio intimo, una specie di cappella creativa, come lo definisce lui. Lì dipinge, incide e stampa. La sua arte è appesa a fili, a mo' di biancheria stesa ad asciugare, o appoggiata alle pareti.

 
Non c'è nulla di bohémien in tutto questo. Gabriele Genini è un ragazzo con una laurea all'accademia di belle arti di Firenze in tasca e a cui la parola artista incute ancora un certo timore reverenziale. Eppure lui lo è. È un artista che «con tanta determinazione, un po' di fortuna e un po' d'arte» sopravvive con ciò che gli piace fare.
 
A quindici anni, finite le medie, lascia Osogna, un paese con poco più di mille abitanti nel canton Ticino, per Milano. Vuole diventare fumettista. Eppure insegnanti e orientatori professionali parlano di una vita gettata alle ortiche, di tempo perso. La famiglia invece lo incoraggia e gli dà la possibilità di inseguire questo sogno alla scuola di fumetto della metropoli lombarda.
 
Passata la prima infatuazione, la città gli viene sempre più a noia. «Inizialmente tutto mi incuriosiva e affascinava. Ma con il tempo mi pesavano la superficialità e i rapporti freddi. Alle uscite di branco preferivo la solitudine», afferma Gabriele.
 
La polveriera creativa
 
Nel 2000, finita la scuola, l'artista ticinese sente la necessità di approfondire ulteriormente la formazione sia dal punto di vista culturale che artistico per dare un maggiore significato al disegno. «Volevo trovare il modo per condensare i pensieri in una sola immagine, invece di farlo in una serie di vignette». Si iscrive così all'accademia di belle arti di Parigi. La sua richiesta viene accolta, ma deve aspettare un anno prima di poter partecipare ai corsi.
 
«Non mi andava di attendere e allora ho inviato la mia candidatura all'accademia di belle arti di Firenze», racconta Genini. E con la città sull'Arno sboccia l'amore vero. È la città che cercava, in cui rivede un po' di Ticino nella mentalità dei fiorentini e in cui vive da undici anni. Anche per la facoltà di pittura dell'accademia ha solo parole d'elogio.
 
«È una scuola incredibile, lontana dal concetto classico dell'insegnamento. È un laboratorio d'idee, una polveriera creativa. I professori sono come direttori d'orchestra che concedono ampie libertà agli studenti e che si confrontano con i giovani artisti provenienti da tutto il mondo», spiega Gabriele.

La continuità

Nel 2006 si laurea in tecnica dell'incisione con una tesi dal titolo "Shunga, l'erotismo nelle stampe giapponesi" e lascia questa specie di limbo. Ora deve cercare di ritagliarsi un suo spazio artistico, emergere e sopravvivere. Tra i giovani artisti appena usciti dall'accademia c'è chi bussa a tutte le porte delle gallerie per esporre le proprie opere, umiliandosi e pagando, magari. C'è anche chi si vende al diavolo, snaturando completamente la propria arte per accondiscendere ai desideri di possibili acquirenti. Gabriele no, lui crede in ciò che fa, nella validità del suo lavoro.
 
«Io cerco di seguire una trama, di dare una certa continuità alla mia attività. Secondo me, questo è un buon approccio. La strada giusta è rimanere fedeli alle proprie idee e convinzioni, imporsi dei limiti, una linea morale. Vendersi significa perdere credibilità», sottolinea Genini.
 
Così, da dieci anni, Gabriele continua a disegnare due immagini simboliche, un demone e una valigia. «Sono figure che non si esauriscono mai anche perché quella definitiva, quella che hai in testa non la troverai mai. Sono una sintesi di ciò che penso e che vorrei dire», spiega l'artista ticinese. La valigia rappresenta il bagaglio che uno si porta appresso: la cultura, le esperienze, i condizionamenti, gli incontri, le letture. Il demone è l'artista. Porta un cappuccio rosso a due corna che indica la creatività, l'istinto, la foga e un mantello blu che raffigura l'educazione.
 
La fortuna
 
Gabriele è convinto che determinazione e arte non bastano per sbarcare il lunario. Ci vuole anche un pizzico di fortuna che finora gli è stata amica: una famiglia che lo sostiene e incoraggia, gli incontri con le persone giuste, le occasioni colte al volo. Ma sa pure che la dea bendata «te la devi anche un po' conquistare, magari senza saperlo, lavorando per essere pronto nel momento in cui viene a bussare alla tua porta».
 
Romantico e curioso viaggiatore, Gabriele è stato in tante parti del mondo. È tornato da Turchia, Cambogia, Laos, India e da alcune città europee con storie da narrare, ma soprattutto con disegni personali di spaccati del mondo incontrato. E proprio con questa documentazione personale e oggettiva ha colto un'occasione offertagli dalla vita.
 
Nel 2009 vince il premio del concorso della fondazione Bally con i taccuini di viaggio di Praga e Laos. «Prima di allora, credevo che questi disegni non interessassero a nessuno. Erano per me come una specie di album di fotografie, in cui rivedevo visi, persone, cose e personaggi», racconta Genini.
 
Il paese dei fiori di ciliegio
 
Invece la giuria si entusiasma scoprendo il suo lavoro. La fondazione gli finanzia così un viaggio di un mese in Giappone da cui scaturisce "Tratto levante, Rumore di matita, Carta di riso", carnet che presenta la sua scoperta del paese dei ciliegi in fiore. Per chi non ci è stato, scrive Cristina Taverna nella prefazione del libro, i disegni di Genini rappresentano un immediato modo di assaporarne l'essenza. Il modo di disegnare veloce, tipico degli autori di carnet di viaggio, non troppo dettagliato, conduce il lettore attraverso poche parole e pochi segni nel cuore del paese.
 
Giungere a questo risultato non è stato facile per Gabriele. Non si era infatti mai trovato nella situazione di dover presentare alla fine di un viaggio un lavoro compiuto, senza macchie e scarabocchi. «Catapultato in un ambiente completamente nuovo, all'inizio sono andato un po' in crisi. Soltanto in seguito ho acquistato familiarità con ciò che mi stava davanti, situazione che si nota anche nell'evoluzione a decollo del taccuino».
 
In un'epoca in cui tutti viaggiano, il taccuino del Giappone ci trasmette il suo personale modo di andare incontro all'ignoto e di vedere il diverso, così come facevano i grandi esploratori dell'Ottocento. Sulle pagine, i disegni a matita, acquarello e china si sovrappongono e sembra vogliano riprodurre l'affollarsi delle immagini nella mente del turista curioso e attento. Il suo segno veloce mi fa pensare a quello di Delacroix, i suoi tocchi di colore appena accennato a certi lavori di Hugo Pratt, scrive ancora Taverna, direttrice della casa editrice Nuages di Milano. Anche lui, come tutti gli artisti, appartiene a una famiglia e direi che questa è la sua, ma dalla quale si sa staccare con una propria personalità.

Autore: Luca Beti/  www.swissinfo.ch

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