Vista da questo sterrato sfarinato di sassi e bambù, Vilcabamba è una macedonia vegetale indisciplinata: verde smeraldo di palme al vento, o rossa fluorescente, maculata di magnetici porotillo, bizzarri fiori sudamericani. Un pugno di case, poco più di cinquemila anime e un incantesimo che ancora non conosce formula: quello degli abitanti più longevi del mondo. Uno di loro, Don Agustin Jaramillo, è l’emblema del pueblo. Cammina lento, anziane mani color cartapecora strette a un bastone che bacchetta il selciato. Tutti lo conoscono, ha un saluto per tutti. E si ferma volentieri per una chiacchiera veloce mentre riposa la schiena stanca su una panchina: «Il nostro segreto è l’acqua, è una cosa meravigliosa. Un bicchiere dopo il caffè di mattina, uno dopo pranzo, uno dopo la merenda», sorride dietro occhi scuri nascosi dalla tesa del panama che porta schiacciato in fronte. Fa un gesto della mano, abbraccia le montagne rigogliose che scendono placidamente a valle. Ora Don Agustin, novantotto anni suonati, vive solo, la sua señora Julia se ne è andata qualche tempo fa quando di anni ne aveva novanta. E non è eccezione per Vilcabamba, ma una norma di lunga vita. C’è persino un istituto nazionale di ricerca gerontologica, lontano dieci minuti dalla piazza centrale, che spiega l’arcano con un amalgama unico di condizioni ambientali che non si trovano altrove in Ecuador o nel mondo: l’acqua, una temperatura media di diciannove gradi tutto l’anno, l’alimentazione naturale, e l’attività fisica nei campi. Ma restano tutte ipotesi, una prova certa non c’è, e nemmeno interessa. Ancora molto diffusa tra i locali è la credenza che «l’elisir di lunga vita» sia da attribuire all’influsso magico del Mandagno, la cima che sovrasta il villaggio. Che si raggiunge prendendo uno dei due sentieri disertati che si allungano oltre l’ultima casa del villaggio. Sterrati battuti da ferri di cavallo arrugginiti, fino in cima, tra le nuvole sfilacciate dal vento e dal caso, il sole che si fa largo, inonda la valle, delle case restano i tetti, il limite degli orti, tracciati di solchi, maglie di metallo attaccate da piante rampicanti. E solo in rumore della ghiaia sotto i piedi, lo scartavetrare del rio Vilcabamba tra i sassi del suo letto. Guardala da qui, è una città dei sogni, di personaggi strampalati, uscita dalle pagina di Márquez o Sepúlveda. Già il suo nome Vilcabamba è un piccolo mistero: unione di huilco, albero sacro – qui presente e conosciuto per la sua eccezionale ossigenazione dell’aria - e bamba, valle. Valle sacra in lingua quechua, l’antico idioma parlato dalle popolazioni andine. Ma su questo paese esiste anche un’altra verità, quella scientifica: nel 1970, quando il villaggio ha poco meno di novecento abitanti, il dottor Miguel Salvador realizza uno studio campione su trecentotrentotto persone e, carte alla mano, nove contano più di cento anni. Tra loro si trova il nome di Miguel Caspio Mendieta, all’epoca dello studio centoventenne, che si racconta sia morto alla veneranda età di centoventisette anni. Leggenda? Realtà? Qui si mischiano. Certo è che con l’arrivo di scienziati, turisti e curiosi, a partire dalla metà degli anni settanta, la situazione è tutta cambiata. Con l’arrivo di predatori di dati, di date, di record gli anziani del paese hanno cominciato per la prima volta a tenere la conta dei propri anni. Oggi il più anziano, d’età certa, è il señor Javier Delgado di centodue anni. Pelle liscia come carta, una vaga traccia di rughe, e rada barba bianca, Javier si accompagna alla moglie Maria Mercedes Retore, ottantasette anni, una ragazzina al confronto del marito, ma di lineamenti forti e scuri, le mani attraversate da sporgenti vene blu. Sono questi i volti anziani di Vilcabamba, che portano quasi un secolo tagliato nelle rughe, ma che spesso non rinunciano a una fumata di chamico, tabacco straordinariamente forte che si raccoglie in questi campi, o un bicchiere d’aguardiente – versione sudamericana dell’acquavite - che gli stessi contadini ricavano dalla fermentazione della canna da zucchero. Resta il mistero quindi, che oggi rima baciato con turismo hippie e del benessere. La longevità è dappertutto: dalle bottiglie d’acqua che portano sull’etichetta il volto dell’anziano Raul Moreno Jamarillo alle insegne dei caffè o negozi «di lunga vita». Ma anche qui, spingendo la morte più in là, non può durare per sempre. Così al fondo di una carraia si trova il colorato e disfatto cimitero del villaggio: tombe assediate da spine e fiori gialli, ghirlande screziate appese ai recinti delle lapidi, e una morte fuori tempo che qui sembra carnevale.
Autore: Edoardo Malvenuti
Fonte: http://www.gazzettadiparma.it/viaggi/dettaglio/2/197532/Vilcabamba%3A_un_paese_per_vecchi.html
Vilcabamba: un paese per vecchi
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