A farla conoscere all’aristocrazia british è stato un romanzo, Il dottor Antonio di Giovanni Ruffini. Scritto in inglese e pubblicato a Edimburgo nel 1855, puntava a ottenere il sostegno britannico alla causa risorgimentale italiana, in realtà diventò un inaspettato trailer turistico. Risultato: a fine Ottocento a Bordighera c’erano 2000 bordigotti e 3000 inglesi che venivano a svernare qui, da ottobre a maggio. Avevano le loro banche, il tennis club (il primo fuori dalla madrepatria), la Chiesa Anglicana, il teatro Victoria Hall, persino un giornale in lingua. E grandi alberghi scenografici immersi fra le palme, nati proprio per loro. Romolo Giordano, già chef stellato della Via Romana e ora patron del Romolo Mare, indirizzo di culto sul lungomare Argentina (perché a inaugurarlo nel 1947 fu Evita Perón, pensa un po’), ricorda che la prima guida Michelin Italia, 1956/57, segnalava a Bordighera 40 alberghi, tutti prestigiosi… Il più famoso, l’Angst, oggi è in rovina, e aspetta una riconversione che lo riporti ai fasti della Belle Epoque.
Intanto, rimane un mito della Bordighera d’inverno, come i giardini: gli ulivi, le palme, le piante esotiche. Del Giardino Moreno sopravvivono schegge a testimoniarne la «fantasmagorica» bellezza decantata da Monet, che a Bordighera dipinge oltre 50 tele: un itinerario in dieci tappe fa ritrovare i luoghi dei suoi quadri. Garnier, l’architetto dell’Opéra di Parigi, incantato dalle palme, si costruisce qui la bianchissima Villa Garnier, e poi Villa Etelinda, il municipio, la chiesa di Terrasanta.
Anche la Regina Margherita ama il clima dolcissimo della cittadina e fa edificare nel 1914 Villa Margherita, oggi diventata uno dei musei più interessanti della Riviera. Di fronte, annunciato da un maestoso ficus, il Museo Bicknell, segreto e un po’ rétro, in un palazzotto di fine ‘800 voluto dal botanico, pittore, archeologo nonché pastore anglicano Clarence Bicknell, lo scopritore dei graffiti preistorici della Valle delle Meraviglie. Un paio di lapidi al 34 di via Vittorio Veneto ricordano lo scrittore scozzese di fantasy George Mc Donald e De Amicis, altro habitué, morto proprio qui nel 1908. Il fascino del fuori stagione a Bordighera, dove oggi sono tornati inglesi, tedeschi, scandinavi e gli ormai onnipresenti russi, è fatto di questi dettagli, queste atmosfere: i souvenir dell’aristocrazia, i giardini, il palmeto del Beodo, la neonata orchestra sinfonica (primo concerto domenica scorsa). E gli scenari da vecchia Liguria della città alta, un labirinto di vicoli, piazzette, case color ocra, ristorantini del territorio. Cristina e Gianni alla Cicala propongono le specialità del Ponente, a cominciare dallo stoccafisso brandacujùn, che non manca neppure nel menù del Magiargé, altro buon indirizzo del centro storico.
Se poi si ha voglia di quella specie di pizza, pomodoro acciughe olive e capperi, che è tipica della zona di confine tra Italia e Francia e cambia nome in pochi chilometri - pissaladière a Nizza e a Mentone, pisciadela a Ventimiglia, pisciarà a Bordighera - bisogna andare a Sanremo, vicina/rivale di sempre. Dove quella pizza (ma guai a chiamarla così) ha il nome antico di sardenaira, e si fa la coda per gustarla al taglio alla Tavernetta di via Palazzo 129, cento metri dall’ Ariston, il teatro del festival.
Autore: Rosalia Graglia
Fonte: www.lastampa.it