Il silenzio irreale dell’altopiano è rotto solo dalla voce potente dei colori: il rosso sangue dei papaveri, l’azzurro pervinca dei fiordalisi, il giallo e il bianco delle margherite, l’indaco dei cardi, il lilla del pisello selvatico. Una distesa immensa e piatta, vestita come un festoso Arlecchino, circondata dalla catena dei monti Sibillini, testimoni instancabili dello scorrere dei millenni, del rinnovarsi delle primavere, a tratti aguzzi e maestosi e con le cime coperte di neve, a tratti dolci e rotondi, come dune immobili. Sul lato occidentale della pianura si alza, rapida, una collina e sopra dorme, da otto secoli, Castelluccio, la borgata regina della magia e delle leggende.
Siamo nel sud dell’Umbria, a centoventi chilometri da Perugia e centottanta da Roma. Qui l’uomo e la natura hanno costruito un paesaggio sublime. Una tela di Mondrian con inserti dei tessuti di Missoni. Nel Pian Grande e nel Pian Perduto da sempre si praticano due attività: la pastorizia e la coltivazione della lenticchia. Nella terra riservata al pascolo il miracolo accade nella tarda primavera: in pochi giorni l’immensa area verde si colora del giallo dei tulipani selvatici e dei narcisi. Distese infinite da cui sale al cielo un profumo inebriante, che, secondo la leggenda, nelle notti di luna piena, scavalca le vette dei monti della Sibilla, sale, sale, sale fino a raggiungere le stelle dell’Orsa e del Capricorno. Un sentore di miele che entra nei faggeti, penetra nelle case, si spande nella bella chiesa rinascimentale del borgo, dona un tocco gentile alle locande, si infila nella grotta della Sibilla, la maga che dispensa oracoli e rapisce giovani piacenti. E’ la prima, grande, fioritura. La seconda arriva coi caldi estivi e la regalano i campi di lenticchie. Piccoli appezzamenti geometrici, un po' triangoli, un po' quadrati, un po' trapezi, qualche rombo, tanti rettangoli, stretti l’uno all’altro per non perdere un centimetro di spazio. E ogni figura ha un suo colore. Spesso diverso da quella accanto. Le povere lenticchie, in sé, avrebbero dei fiorellini pallidi e bianchi e degli esili steli verdastri: sono le infestanti che danno luce alla piana. Quassù, a oltre millequattrocento metri sopra il livello del mare, non si possono usare i diserbanti e così papaveri, fiordalisi e margherite soffocano le lenticchie e lanciano verso il cielo fiammate di colore. Dalle strade bianche che tagliano i pendii dei monti si gode uno spettacolo unico. Di una geometria perfetta. Le chiazze pervinca, sembrano laghetti alpini. Le circondano macchie rosse ortogonali, di una perfezione rinascimentale. Poi, improvvise, altre strisce si spaccano in milioni di puntini e mescolano il giallo col bianco, l’azzurro con l’arancione, mentre il verde e l’ocra stanno dappertutto, come in un capolavoro di Monet. Se si scende sul piano lo spettacolo è diverso ma altrettanto emozionate. Ai cromatismi si aggiungono i profumi. Quel che sembrava piccolo diviene grande, ondate purpuree di papaveri sembrano alzarsi dal suolo, i fiordalisi moltiplicati a milioni smarriscono la vista in un mare celeste, le margherite posano sul terreno immensi tappeti volanti, strade lunghe e diritte portano verso un mondo di sogni. E’ il paesaggio surreale che ogni viaggiatore va cercando in una vita di pellegrinaggi, e che raramente trova, il paesaggio che costringe ognuno di noi a uscire dai propri limiti e ad entrare in un universo dove lo spazio è infinito, il tempo eterno, i corpi senza peso. Un mare di colori dove si naviga con dolcezza. Per un attimo senza fine.
Fonte: www.gazzettadiparma.it
Castelluccio: una sinfonia di mille colori - di Luigi Alfieri
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