Le Dolomiti, le tre cime di Lavaredo, il lago di Misurina, le Tofane, il monte Cristallo, il Piave, qualcosa di più di una cuginanza con Cortina e le sue vette, Tiziano Vecellio, il figlio prediletto: questo è il Cadore, uno degli ultimi paradisi d’Italia. E poi: Pieve, Auronzo, Lozzo, Calalzo, Lorenzago. Tutti nomi che evocano nevi eterne, boschi e pinete, cime, passeggiate, strade ferrate, imprese ciclistiche, panorami da lasciare senza fiato, natura sconfinata ad ogni volger di sguardo, laghetti e pozze luminose ovunque, frusciar di torrenti, cascate. Una sorta di idillio continuo per la mente e per gli occhi.
Torniamo per un attimo a Cortina: nei documenti antichi si chiamava Ampitium Cadubri (1156) e faceva parte del Cadore geografico. Ma fu staccata a seguito della conquista da parte di Massimiliano d’Asburgo nel 1511 ed è rimasta fino al Trattato di Saint Germain (1919) sotto l’impero asburgico (Tirolo), maturando una propria identità ampezzana, anche se la lingua ladina e quella degli altri paesi cadorini è rimasta molto simile come, d’altra parte, simili sono gli stemmi che presentano grandi analogie: due torri incatenano infatti un pino per il Cadore, due pini incatenano una torre per l’Ampezzano.
La regione ha origini antichissime: la prima testimonianza di presenza umana è datata otto mila anni fa e si rifà alla sepoltura mesolitica dell’Uomo di Mondeval, scoperta tra Selva e San Vito. Pare che i primi abitanti fossero Reti a cui seguirono, prima della occupazione romana (184 a.c.), Euganei e Galli Insubri. Caduto l’impero, vi si impiantarono Eruli, Ostrogoti, Bizantini, Longobardi e Franchi. Poi toccò in sorte a Venezia e all’Austria. Il Cadore fu dunque terra di continue conquiste e di perenne ricambio culturale nonostante la valle fosse protetta dai suoi immensi contrafforti rocciosi. E, in quanto luogo dai mille confini, fu soggetta anche a grandi scambi gastronomici. Ancor oggi la cucina tradizionale si basa sulla semplicità dei prodotti d’alpeggio: pestariei (polentina liquida a base di mais, latte, burro, formaggio), patate e formai (formaggio), fagioli, funghi, erbe che accompagnano piatti a base di cacciagione quali cervo e capriolo marinati e stufati; gulasch; costicine, stinco e salsicce di maiale; pendole (carne suina ed ovina affumicate con osso); il fricò (torti-no-frittata di formaggi).
Tra i primi piatti figurano canederli; gnocchi di patate, di pane, di zucca gialla o alle erbe (sciopete, asparago selvatico, malva, menta, sbulìe); casunziei (pasta a mezzaluna ripiena con patate, ricotta, burro, rape rosse) condita con burro fuso, semi di papavero e ricotta affumicata; minestre di orzo e di fagioli con le cotiche; orzotto alle verdure; tagliatelle al sugo di selvaggina, alle erbe. Ottimi anche i formaggi di malga, lo speck di Perarolo, il prosciutto sappadino. Tra i dolci: lo strudel di mele, le frittelle sempre di mele, le sope e la péta.
Persino le leggende che popolano da secoli la valle hanno quel gustoso sapore di melting pot intellettuale che si respira ovunque sino ai giorni nostri. La più famosa è quella del Lago de la femenes: si narra che le sue acque, «così verdi da sembrar scavate nella roccia» conservassero giovinezza e beltà alle ragazze di Lagole, il paesello che si affacciava proprio sulle sue rive. Le Anguane, che abitavano le grotte lungo il Piave, erano talmente gelose di loro che catturarono e trucidarono Bianca, la figlia del capo, lungo il sentiero che da allora si chiama dell’assassino, il troi del sassin. Le alte rocce che lo sovrastano da quel dì presero il nome di Croda Bianca.
Un’altra leggenda è ambientata sulle Marmarole, il gruppo che incombe sul Lago di Misurina. Si dice che fossero abitate dai Croderes, esseri privi di sentimenti perché dal cuore di pietra, come la loro terribile réjna Tanna. Nel giorno del silenzio però sul regno tutto si fermava (valanghe, bufere, frane) per far ritrovare i suoi sentimenti alla regina. Fra le montagne prive di pericoli gli uomini potevano così tornare a lavorare nelle miniere d’oro e d’argento anche se solo per 24 ore.
Da ricordare a Pieve, la vera capitale storica e sociale del Cadore, il Palazzo della Comunità nella piazza dedicata a Tiziano a cui diede i natali. E la Chiesa arcidiaconale di Santa Maria Nascente con vari dipinti del Maestro. A Lozzo: la Roggia dei Mulini, lungo il torrente e il Museo della Latteria, che documenta le attrezzature e le attività legate alla filiera. A Misurina: sulla sponda Sud sorge l’Istituto Pio XII, uno dei pochi centri nel mondo (gli altri sono quelli di Briançon, Davos e Denver) specializzati nella cura dell’asma dei bambini, attraverso il contatto diretto con la natura circostante, senza assunzione di farmaci. L’aria di Misurina è infatti estremamente pura grazie alle straordinarie condizioni climatiche ed atmosferiche del lago.
Fonte: www.lastampa.it