Nel 1990, pochi mesi dopo la caduta del muro di Berlino, Dresda era un città piena di ferite e di cicatrici profonde. I segni del bombardamento operato dagli arei della Raf e della Us Air force nella notte tra il 13 e il 14 febbraio del 1945, a distanza di mezzo secolo, stavano ancora davanti agli occhi di tutti. Voragini nelle piazze, monconi di monumenti che si alzavano disperati verso il cielo, fregi spezzati e, di fianco ai miseri resti di gloria artistica, immense cataste di blocchi di arenaria. Ognuno con un suo numero. «Quando avremo di nuovo i soldi - spiegavano gli abitanti - con queste pietre ricostruiremo le nostre chiese e i nostri palazzi, basterà seguire la voce delle cifre». Sembrava un'illusione. Oggi, dopo 23 anni di finanziamenti dall'Ovest, i tedeschi hanno completato l'ennesimo miracolo. Tutto (quasi tutto) è uguale a come era il 13 febbraio del 1945 qualche ora prima che gli aerei alleati scaricassero su una delle città più belle del mondo, sulle sue chiese, sui suoi musei, sulle sue regge, 1478 tonnellate di bombe esplosive e 1182 tonnellate di ordigni incendiari. Difficile capire perché, visto che si era già tenuta la conferenza di Yalta e la guerra era ormai finita.
Ora, guardando verso l'alto, si scorgono di nuovo le statue barocche camminare sui tetti o alzarsi verso il cielo. Ora, la cupola della chiesa luterana di Nostra Signora, elastica e leggera, domina di nuovo il panorama della città. Ora il castello e lo Zwinger sono di nuovo ricolmi dei loro tesori. La cocciutaggine, l'orgoglio e l'intelligenza di un popolo indomabile hanno restituito a Dresda lo splendore che si conviene alla capitale dello stato dei «principi elettori di Sassonia». La città è stata per secoli la punta di diamante di una nazione potente, retta, fin dal Medioevo, dalla opulenta dinastia dei Wettin, una famiglia di guerrieri spietati, di politici accorti, e, soprattutto, di amanti dell'arte.
Una famiglia che ha trasformato Dresda nella Firenze del Nord. Lungo le acque dell'Elba, placide in estate e minacciose in autunno, è stato forgiato un gioiello barocco unico nel suo genere. L'arenaria della Sassonia contiene un minerale che esposto all'aria si ossida e dipinge la pietra di nero e grigioscuro, dando al paesaggio urbano un colore e una compattezza speciali, che diventano magici nei giorni in cui si proiettano contro il cielo azzurro illuminato dal sole. Il cuore della città è stato chiuso al traffico e ovunque regna un silenzio surreale rotto ogni ora dal suono delle campane delle chiese. Girare per le grandi piazze storiche dal sapore metafisico, inoltrarsi nelle stradine secentesche, costeggiando portali retti da cariatidi annerite, passeggiare lungo la riviera dell'Elba, non è sufficiente per vedere le più grandi ricchezze di Dresda. Per farlo fino in fondo bisogna entrare nei palazzi e guardare da vicino i tesori accumulati nei secoli dai principi Wettin: quadri, statue, manifatture di ambra e di avorio, ori, argenti, pietre preziose lavorate con grazia straordinaria, cristalli, porcellane. I monarchi sassoni hanno raccolto quanto di meglio si potesse trovare al mondo, non solo in Europa, ma anche nel lontano Oriente. Persino a Parma. Nella Gemälde Gallerie Alte Meister, un museo che non ha nulla da invidiare agli Uffizi o alla National Gallery di Londra, si trovano quattro opere del Correggio, tra cui due capolavori inarrivabili come «La Madonna con San Giorgio» e «La Notte Santa», la straordinaria «Madonna delle rose» del Parmigianino e un Girolamo Bedoli da antologia. Fare l'elenco dei capolavori di scuola italiana, fiamminga, francese e tedesca custoditi alla Gemälde è come leggere un elenco del telefono: non si finisce mai. A pochi passi dal museo, il castello dei principi, risorto dopo la distruzione operata dalle bombe, ospita le due celebri Volte Verdi e la camera turca, che custodiscono una sfilata interminabile di tesori di ogni epoca realizzati con i materiali più svariati, dalla madreperla al corno di rinoceronte, dai diamanti al cristallo di rocca, dalla seta all'opale. Ogni stanza ha il suo tema e contiene statue, vasellame, gioielli, attrezzature per il gioco e il tempo libero. Ci si sposta di poche centinaia di metri ed ecco l'imponente sagoma grigiofumo dell'Albertinum. Qui pendono dalle pareti le opere dei maestri dell'Ottocento e del Novecento, non solo tedeschi.
Ma Dresda non è solo arte. E' un città slow, che fa della lentezza dei ritmi di vita, ereditata dai tempi delle repubblica democratica tedesca, uno suo distintivo. Basta abbandonare la città vecchia, imboccare il ponte di Augusto e subito, nella Neustadt, si incontra la birreria Watzke, che da oltre un secolo produce birre artigianali non filtrate di bontà suprema e sforna stinchi di maiale croccanti e saporiti, appoggiati su candido “salcrao”. Questa brauhaus è la preferita dagli indigeni, ma tutta Dresda è piena di locali, molti esotici, dove è possibile tirare tardi mangiando buoni piatti. Per chi cerca il verde, c'è il Grosser Garten, lo smisurato regno di chi ama le camminate e la corsa, costruito attorno al palazzo degli svaghi del principe, capolavoro del rococò. Dresda non è solo la capitale tedesca dell'arte antica. Proprio in un angolo del Grosser Garten si trova l'icona dell'architettura contemporanea tedesca: la fabbrica trasparente della Volkswagen, uno delle opere di design più fotografate del nuovo secolo. Un blocco di vetro e acciaio elegante come un cigno e (in apparenza) leggero come una piuma. Una delizia agli occhi di chi ama il post moderno. Grazie al moltiplicarsi dei giochi di specchi, lo stabilimento si integra alla perfezione con l'antico che lo circonda.
Non tutto il nuovo è in armonia con l'antico e, proprio per questo, Dresda, nonostante la sua sublime bellezza, ha perduto il titolo di «patrimonio dell'umanità» concessole dall'Unesco: l'amministrazione locale ha realizzato sull'Elba, nel tratto a monte della città, un ponte in cemento di forte impatto visivo e di bassa qualità estetica, che i funzionari dell'organizzazione internazionale hanno cassato senza rinvio, togliendo con effetto immediato la qualifica di «Human Heritage». In realtà, il ponte è molto lontano dal centro della città e Dresda resta, senza dubbio, una bella tra le belle. La capitale nerofumo del barocco metafisico.
Fonte: www.gazzettadiparma.it