
Non c’è bisogno di aspettare il Natale: Sant’Agata dei Goti, nel Beneventano più impervio, è un presepe vivente tutto l’anno. Arroccato com’è su un selvaggio sperone circondato da due orridi di fondovalle. Le case, i palazzi, le chiese, le mille botteghe, le piazze, i vicoletti angusti ed affascinanti abbarbicati in un superbo labirinto longobardo-medioevale lungo un chilometro, proprio in cresta al suo ripido rostro tufaceo. Le finestre e le terrazze esterne danno tutte sull’abisso rigato dai due rii, il Marturano e il Riello (affluenti dell’Isclero, a sua volta donatore del Volturno) che la segnano laggiù in basso, all’ombra del monte Taburno delle cui sorgenti si gonfia l’acquedotto del Vanvitelli che giunge fino alle fontane della Reggia di Caserta. È’ uno spettacolo unico, che dall’anno scorso ha fatto inserire il borgo tra le meraviglie d’Italia. Tra i suoi concittadini celebri prima poteva vantare soltanto Ignazio Abate, il terzino della Nazionale. Ora si può fregiare anche di De Blasio, nuovo sindaco di New York, la cui effigie è già stata plasmata da Mariano Tubelli, gran maestro presepiale che rinverdisce la tradizione napoletana delle statuine della Natività che qui è una delle più fiorenti attività artigianali, esportate in tutto il mondo. Ma a suo nome è stata creata anche la torta Bill, a base di mela annurca, simbolo del luogo. Figurarsi durante le feste di fine anno: è tutta una gara di Annunciazioni, Nascite e Visitazioni. Dal vivo e davanti agli usci. O di occhiate fugaci attraverso i vetri e i pizzi di negozi ed abitazioni.
Sant’Agata ha una storia millenaria. Si è appollaiata in era geologica su quel contrafforte in seguito ad uno sconvolgimento vulcanico epocale che ha ridisegnato la terra coprendola di rocche e valloni, scavando fiumi, spezzando montagne. In antichità fu la città caudina di Saticula, citata persino da Virgilio nell’Eneide: numerose sono infatti le necropoli sannite dei dintorni a confermarlo. Ricordiamoci che fu proprio da queste parti che avvenne l’episodio delle Forche Caudine in cui i romani furono umiliati al passaggio da sconfitti sotto i gioghi di Gaio Ponzio Telesino fierissimo condottiero dei sanniti. Così Tito Livio racconta l’agguato in cui cadde la legione: «Due gole profonde, strette, ricoperte di boschi, congiunte l’una all’altra da monti che non offrono passaggi, delimitano una radura abbastanza estesa, a praterie irrigate, nel mezzo della quale si apre la strada; ma per arrivare a quella radura bisogna prima passare attraverso la prima gola; e quando tu l’abbia raggiunta, per uscirne, o bisogna ripercorre lo stesso cammino o, se vuoi continuare in avanti, superare l’altra gola, più stretta e irta di ostacoli». Le due gole furono bloccate da tronchi e rocce buttate dalla montagna e per i romani non ci fu scampo. Saticula diventò Sant’Agata dei Goti in due differenti momenti. Nel VI secolo prese il nome della santa catanese. Poi, a causa dell’arrivo della famiglia francese dei De Goth, la stessa di Papa Clemente V alla quale Roberto d’Angiò concesse il feudo nel 1300, si aggiunse il «de’ Goti». Un’altra tesi attribuisce invece il fatto al passaggio dei Goti, dopo quello di Unni e Vandali.
Abbondanti le testimonianze architettoniche d’epoca longobarda, a partire dal bellissimo Castello ducale poi ampliato dai normanni. Nei secoli successivi sono state decapitate le torri e costruite delle logge. Poi la Chiesa di Sant’Angelo in Munculanis con pianta basilicale a tre navate. I restauri hanno portato alla luce, oltre alla struttura medievale, una cripta sotto il pavimento della navate a centrale con sepolture a «scolatoio». Per quanto riguarda le specialità locali, oltre a ottimi oli, vini (falanghina e aglianico, sugli altri) crescono ciliegie davvero speciali. Poi, come detto, c’è la famosa mela annurca, piccola e schiacciata, dalla polpa bianca com-patta, acidula e profumata. Era già conosciuta e apprezzata nell’antichità romana, e citata da Plinio Il Vecchio nella Naturalis Historiae. Nella tradizione culinaria, sono famose soprattutto le paste fatte a mano e, caso notevole, i panini farciti in mille modi diversi, con accostamenti di grande fantasia. Tra le trattorie, c’è da segnalarne una davvero insolita: I giardini di marzo. Intanto si è ricevuti nella cucina di un qualsiasi appartamento al piano superiore. Tu chiami e ti rispondono Michele o Ivana e ti spiegano subito che loro non hanno una carta. Ti interrogano sui tuoi gusti. Aggiungono che loro non sono un ristorante ma che ti offrono l’amicizia di una casa. Ti elencano le cose fresche che hanno fatto o trovato sul mercato e insieme si aggiusta un menu. Tavoli pochissimi, alle pareti vecchie foto, poster Del Piero, Cannavaro, Battisti e Beatles (colonna sonora compresa), chiacchiere e molta bontà.
Fonte: www.lastampa.it